3 ore, 3 fonti, 3 lingue. Questa la base della messa in Scena di Demis Volpi al Saarländisches Staatstheater. Quel che, all’inizio, può risultare difficile da concepire, esprime sulla scena una semplice complessità di struttura, di temi e di aspetti. Si inizia con l’opera di Luigi Cherubini, Médée (cantata in francese e recitata in tedesco), si passa poi alla Medea Senecae di Iannis Xenakis per terminare con il monologo Medeamaterial di Heiner Müller.

Un percorso che, minuziosamente, Volpi sembra costruire per guidare lo spettatore dalla narrazione della complessità dell’evento (Médée), attraverso la contrapposizione Medea vs. mondo maschile (Medea Senecae) fino alla realizzazione che il dramma si svolge solo ed esclusivamente dentro a Medea stessa (Medematerial).

Un invito a guardarsi dentro? Un suggerimento a non voler cercare all’esterno, al concatenarsi di eventi il proprio destino, bensì al proprio modo di affrontare gli stessi e imporsi nel mondo? Il mondo nella scenografia di Markus Meyer è una prigione camuffata da curiosità e sapere. In effetti la libreria che si presenta allo spettatore, ha scaffali vuoti, con qualche rara perla di conoscenza disposta qua e là. Vi sono, sì, le scale per salire e prenderle, ma non tutti riescono ad arrivarci. La libreria è quasi spoglia, impersonale del tutto: più che proteggere, sembra voler racchiudere dentro di sé ogni desiderio di pensare controcorrente, di scoprire qualcosa di nuovo. È custode e carceriera delle tradizioni: il re Créon (Peter Schöne) organizza il matrimonio di sua figlia Dircé (Olga Jelinkova) con Jason (Angelos Samartzis), seppure quest’ultimo risulti ancora sposo di Medea. Dirce, infatti, teme questa decisione. Ha in sé una piccola nuce di ribellione (sottolineata dalla tuta in ciniglia rosa (costumi: Carola Volles), ma non riesce a si conforma alle richieste del padre, acconsentendo alle nozze che, però, le risulteranno fatali.

La figura più forte della prima parte, o meglio, le figure più forti sono le Medee: Volpi ne presenta ben cinque. Contrappunto visivo anche dal punto di vista dei costumi: mentre il protagonista e gli altri indossano colori tenui, pastello, leggermente eccentrici (quasi da Pleasantville), ma tenui, le Medee hanno un abito talare nero, rinforzato da cuciture leggere colorate e da un copricapo (tranne Neris) variopinto.

Un contrasto tra la serietà del ruolo di divinità e la voglia di una personalità forte. Non si intende mai, davvero, se la Medea di Cherubini vista da Volpi sia un carattere forte: è, senza dubbio, una Medea dalle diverse personalità: personalità che, a volte, comunicano all’unisono e che, altre volte, cercano di combattersi tra loro: una è quella affezionata ai bambini, l’altra è quella aggressiva, arrabbiata con Jason e il mondo, poi vi sono quelle che cercano di scoprire il mondo e le diverse sfaccettature e, infine, quella che fa auto-analisi.

Pauliina Linnosaari è la grandiosa voce musicale di Medea, che non teme di mettersi in primo piano e rivendicare i propri diritti, Judith Braun è la Medea Neris, colei che si occupa prevalentemente dei due figli, Christiane Motter è la pensierosa, quella che cerca di scoprire il perché delle cose.

Isabella Taufkirch e Stefane Meseguer Alves, sono le due Medee ballerine, che, trasformano in movimento, con ogni singola fibra del proprio corpo, il turbinio di sentimenti che occupano l’anima di Medea. Nella Medea di Xannakis la biblioteca diventa una vera prigione: le porte sono bloccate con filo spinato e travi e poi si chiudono completamente, lasciando entrare un coro maschile, al buio (come i minatori che cercano di risorgere alla luce della superficie).

Medea, ora, inizia il suo percorso di solitudine che termina con la toccante interpretazione di Christiame Motter nel monologo Medeamaterial. Coricata su una cassa, abbracciandola in parte, declama il suo dolore e giustifica le sue decisioni. Non riesce, tuttavia, a trovare assenso alle proprie idee, piuttosto tristezza per chi è morto. Un inno, la serata a non autoannullarsi per il bene degli altri, bensì a voler cercare, in un qualche modo di trovare una propria dimensione per non rischiare di finire come Medea: donna in nuce forte ma che, a causa del compiacimento alla tradizione ed aspettative, si è annullata finendo avvolta nelle grinfie della pazzia e dell’incomprensione.

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