Nelle giornate del 20 e 21 settembre scorso, tutti gli italiani aventi diritto, in Italia e all’estero, si sono espressi, attraverso un Referendum costituzionale, per il taglio di 345 parlamentari dei due rami del Parlamento: Camera e Senato.

Il Referendum, indetto nel gennaio 2020 per il 29 marzo scorso è stato posticipato a causa dell’emergenza Covid, al 20-21 settembre 2020. Per questo specifico argomento, la modifica del contenuto della Carta costituzionale è protetta da un meccanismo complesso, delineato nell’articolo 138 della Costituzione italiana, il quale prevede specifiche maggioranze parlamentari per poter approvare cambiamenti alla Carta Costituzionale (in specie, non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti) e, in assenza di tali maggioranze, sono i cittadini ad approvare o meno, tramite referendum le revisioni proposte.

Quali modifiche si chiedevano agli italiani

1) La modifica dell’art. 56 della Costituzione italiana, con riduzione del numero dei deputati della Camera da 630 a 400, e della circoscrizione estero con riduzione dei deputati da 12 a 8.

2) La modifica dell’art. 57 della Costituzione italiana, con riduzione del numero dei senatori da 315 a 200 e della circoscrizione estero da 6 a 3. Ogni regione italiana inoltre avrà un numero minimo di senatori, non più di 7 (come attualmente previsto) ma di 3.

3) La modifica dell’art. 59 della Costituzione, con riduzione a 5, del numero di senatori a vita (ossia di coloro “che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico o letterario”) che il Presidente della Repubblica può nominare.

Il risultato è stato chiaro: gli italiani hanno deciso il taglio dei parlamentari con un netto “SI” con il 69,64% (17.168.498 di voti) mentre il no ha ottenuto il 30,36% (7.484.940 di voti), su un totale di 24.993.020 votanti (corrispondenti al 53,84% dei 46.418.749 aventi diritto al voto).

Quindi, il popolo sovrano ha approvato a maggioranza schiacciante il taglio dei parlamentari italiani, allineandosi, di fatto, ad altri paesi europei quali Germania e Francia che hanno un minor numero di parlamentari in proporzione al maggior numero di cittadini.

Quali scenari si aprono dall’esito di questa votazione per gli italiani all’estero?

Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari ha coinvolto anche gli italiani all’estero ed i parlamentari eletti nelle Circoscrizioni Esteri.

Gli italiani all’estero sono stati molto più drastici votando il quesito al 78.24% SI e il 21.76% ha votato contro il taglio.

Dai risultati scaturiti dall’esito, si evince anche che l’affluenza alle urne, non ha raggiunto la media nazionale. Su 4.537.308 elettori, sono stati 1.057.211 i votanti pari al (23,30% molto meno della metà rispetto ai dati nazionali) con il numero impressionanti di schede nulle, pari a 98.174, sono state scrutinate 7.245 schede bianche e 146 schede contestate.

Alla fine i voti per il “SI” sono stati 744.557 e i voti per il “NO” 207.089.

Dopo un’attenta riflessione, sono convinto che questo risultato lancia un messaggio chiaro alla politica, in generale, ma all’estero, penalizza anche la mancata rappresentatività delle rappresentanze elette dagli italiani residenti fuori dai confini italiani, come i Com.It.Es., il CGIE ed i Parlamentari eletti nelle Circoscrizioni Estere.

Se mi baso sugli ultimi vent’anni, constato che la comunità italiana non ha ottenuto niente o quasi ma si è trovata di fronte a tagli sistematici da parte dei governi di turno, senza poter contare su coloro che avrebbero dovuto intervenire. Mi riferisco ai tagli sulla chiusura dei consolati, sui Corsi di Lingua e Cultura Italiana, sulla promozione dell’Italia nel Mondo.

Eppure, dal testo della norma, sembra chiaro ed agevole interagire con gli organi che gli italiani hanno a disposizione. Facile dovrebbe essere anche il percorso di portare avanti i quesiti e le esigenze del contingente italiano all’estero ed il percorso dell’azione mi sembra ancora più semplice: “il connazionale porta i suoi problemi al Com.It.Es., che li trasferisce all’Intercomites che, a suo turno, li consegna al Comitato Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) per poi passarli ai Parlamentari eletti nella Circoscrizione di competenza”.

Ma allora dov’è il problema?

Il mancato funzionamento della macchina rappresentativa si spegne nelle vaste praterie della politica. Gli organi eletti dalla comunità estera dovrebbero essere apartitici fino al CGIE. Invece, come sempre, è la politica di partito che ha il controllo degli organi eletti e, quindi, molto difficile rappresentare in queste condizioni anche perché, si ambisce a queste rappresentanze proprio per scalare ed arrivare nel paradiso del Parlamento. Ad alcuni basta occupare queste prestigiose poltrone solo per ambizioni personali.

Da tempo si rende la necessità di rivedere le candidature di questi organi di rappresentanza, escludendo i partiti politici, e mettere mano ad una riforma radicale al fine di dare importanza e le giuste credenziali in modo tale che questi organismi, assieme ai consolati, possano discutere con le autorità locali.

Questo porterebbe ad un maggiore impegno, da parte degli eletti, nella qualità rappresentativa.

È evidente che, allo stato attuale, con tale sistema, nel corso degli ultimi vent’anni, lo status quo imposto agli italiani all’estero, ha portato le associazioni ad essere usate e abbandonate a sé stesse, soprattutto, con il problema del mancato cambio generazionale.

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