A sessant’anni si avvicina il tempo della pensione. Molti, purtroppo, ci vanno anche prima, perché si conclude il loro contratto sociale e con esso la loro utilità pubblica. Questo è un dramma per molti, ma un dato di fatto. Bisogna chiedersi allora se il contratto sociale del giornale può dirsi in via di esaurimento, o addirittura concluso, o se è possibile vedervi un futuro. E in quel caso, quale.
Non essendo più io, dal giugno scorso, il direttore del giornale, la mia opinione vale come quella di qualsiasi cittadino italiano in Germania. In questo senso non dovrei essere io a fare questa relazione, bensì chi da giugno ha l’autorità per farlo. Conta, forse, però, l’esperienza di quattordici anni di trincea, nei quali il giornale è cambiato molto, e forse contano le riflessioni (ripeto, del tutto personali) che in quattordici anni ho maturato. Ma forse è bene cominciare dall’inizio, e cercare di capire quale tipo di contratto sociale il giornale ha redatto, o ha cercato di redigere, con la comunità italiana in Germania, con le Missioni cattoliche italine ed infine con la Chiesa locale.
Intanto indichiamo i nomi dei direttori che si sono succeduti alla guida del giornale. I dati li prendiamo dal bel volume di don Vito Lupo: „Die italienischen katholischen Gemeinede in Deutschland“. Don Vincenzo Mecheroni; mons. Aldo Casadei; mons. Silvano Ridolfi, don Gianfranco Zorzi, Enzo Piergianni, don Enzo Parenti, padre Corrado Mosna, don Giovanni Ferro, padre Tobia Bassanelli e il sottoscritto.
I nomi sono tuttavia legati non solo a stili redazionali, ma anche a periodi storici nei quali emergevano necessità differenziate. La prima delle quali si poteva esprimere con le seguenti domande: quale tipo di giornale, e a chi è rivolto? La domanda non è di semplice risposta, perché il Corriere d’Italia è giornale che nasce in ambito ecclesiale con una tentazione continua di trasformasi in giornale pastorale.
La questione è trattata e risolta già in una lettera del febbraio 1972 di Silvano Ridolfi, ancora oggi lucidissima memoria storica della emigrazione italiana in Germania. Diceva Ridolfi: „A cosa serva il giornale è detto mille volte: è unappoggio e completamento dell’opera nostra. Siccome nostroha una chiara mentalità (cristiana, socialmente cristiana). Siccome giornale, è destinato a tutti e non può avere la fisionomia di bollettino parrocchiale, né potrà sostenere tesi o pareri di un singolo missionario o in questioni singole che non riportino un principio e un interesse generale“.
Pur confermando la „mentalità cristiana“, Ridolfi tracciava una chiara linea tra bollettino pastorale e giornale di interesse generale, destinato anche a coloro che non vanno in chiesa, o che non si definiscono credenti. Ridolfi certamente non risolse la questione, che si ripete nella storia del giornale e si rispecchia ancora oggi nel tira e molla del numero di pagine che esso dedica alla Chiesa.
Il secondo grande conflitto che il giornale ha vissuto nella sua storia è quello della collocazione politica, tanto che negli anni Settanta veniva visto dai missionari troppo a sinistra e quasi un impedimento alla pastorale. Ma tant’è gli anni Settanta erano quelli del grande conflitto sociale, e sarebbe stato difficile comunque non schierarsi.