In questo momento, forse a causa del polverone mediatico che si è sollevato attorno alla questione dei rifugiati, il governo tedesco sembra che stia preparando una sorte di ricetta reazionaria: dopo qualche settimana d’intensa discussione all’interno della Große Koalition, il Bundesrat – la camera dei Länder – il 16 ottobre ha approvato un nuovo pacchetto di misure relative al diritto d’asilo. Tra le misure vi sono regole più severe per le espulsioni e un’accelerazione delle procedure d’esame delle richieste d’asilo. Inoltre, Albania, Kosovo e Montenegro saranno d’ora in poi considerati “paesi di origine sicuri” (sichere Herkunftsländer) e, quindi, meta di rimpatri. E non solo: pare che l’introduzione di cosiddette “zone di transito” ai confini con l’Austria sia ormai alle porte, anche se al leader socialdemocratico Sigmar Gabriel l’idea – a dir poco – non piace.
Non è, dunque, un caso se le nuove misure sono state criticate aspramente da parte di Amnesty International, Pro Asyl e dall’ordine degli avvocati in Germania. Insomma, dopo l’euforia di qualche settimana fa, che vedeva bagni di folla accogliere i profughi provenienti dalla Siria, segue la disillusione di una politica che deve fare i conti in primo luogo con la paura di un riversamento a destra della società – i cori di Pegida diventano più rumorosi – e in secondo luogo con le mille difficoltà che incontrano i politici a livello comunale nell’allestire i centri di accoglienza in poco tempo. Succede, dunque, che mentre la Kanzlerin continua dappertutto – e giustamente – a sottolineare che “il diritto d’asilo non conosce un contingente” – vale a dire un limite concreto di persone che la Germania può accogliere –, il suo governo vara una serie di provvedimenti che relativizzano de facto proprio il diritto d’asilo, riducendolo ad un diritto di soggiorno per Tizio e l’espulsione immediata per Caio.
Ma da parte della cancelliera si tratta soltanto di una nuova puntata della serie del “Predicare bene e razzolare male”, oppure di una necessità strettamente politica? A sentire quanto si vocifera nei corridori berlinesi del Kanzleramt, pare che le diatribe tra la cancelliera Merkel e il principe bavarese Seehofer possano – addirittura – mettere a repentaglio la storica alleanza tra Cdu e Csu e che, dunque, la riforma del diritto d’asilo sia solo un modus scelto da Angela per calmare le acque.
Ma andiamo a vedere cosa cambia: innanzitutto la nuova legge prevede una semplificazione delle espulsioni perché coloro che non lasceranno la Germania entro la data prevista dalle autorità, dopo una riduzione progressiva degli aiuti forniti dallo stato tedesco fino alla pura sussistenza, potranno essere rimpatriati senza preavviso. Insomma, meno burocrazia e più espulsioni. Resta soltanto il rebus legato ai costi del procedimento di espulsione: se questi restano elevati (si parla attualmente di ca. 15mila euro di spese per ogni immigrato espulso), la legge rischia di perdersi nei lunghi sentieri delle procedure amministrative. Non c’è da sorprendersi, infatti, se dall’inizio del 2015 ad oggi soltanto poco più di 20mila persone sono state espulse dal territorio tedesco.
Non tutto, però, a Berlino va nella stessa direzione reazionaria: i migranti che riceveranno lo status di rifugiato potranno, infatti, ottenere contratti di lavoro temporaneo già dopo tre mesi. Si tratta di una delle tante richieste da parte delle associazioni non governative e di una parte dei socialdemocratici. Per accelerare il processo d’integrazione, saranno organizzati corsi di lingua e cultura tedesca per tutti i richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza. Con questi corsi d’integrazione, infatti, le autorità locali – soprattutto i Job Center – negli ultimi anni, hanno raccolto ottime esperienze. Mentre non pochi degli immigrati venuti in Germania negli anni sessanta tutt’oggi hanno difficoltà con la lingua tedesca, i nuovi arrivati – anche dall’Italia – in pochi mesi godono già di una sufficiente conoscenza del lessico basilare.
Se la Merkel è stata costretta ad accontentare Seehofer, è riuscita, allo stesso tempo, a far bollire gli animi all’interno della Spd: non pochi sono i socialdemocratici – ma soprattutto l’opposizione dei Grünen e della Linke – a criticare l’ampliamento della lista dei paesi considerati “sicuri”, che adesso comprende anche il Kosovo, l’Albania e il Montenegro. Questo significa che d’ora in poi i cittadini di questi paesi difficilmente si vedranno accogliere le loro richieste d’asilo. Nell’elenco dei paesi considerati sicuri c’erano già Bosnia, Ghana, Macedonia, Senegal e Serbia, oltre ai paesi dell’Unione europea, Norvegia e Svizzera.
Il pacchetto-riforme, tuttavia, va oltre: finora i richiedenti asilo potevano trascorrere solo tre mesi nei centri di accoglienza, prima che la loro richiesta fosse accolta (o rifiutata): questo periodo è stato esteso a sei mesi (l’iter di una richiesta nel paese ne dura in media cinque, anche se attualmente nel ministero federale per le migrazioni sono circa 300mila le richieste d’asilo non ancora esaminate).
Anche questa misura, tuttavia, non gode di simpatie da parte delle associazioni perché le strutture di accoglienza, già sovraffollate, non sono attrezzate per ospitare i profughi per periodi così lunghi.
La riforma, infine, prevede una riduzione dei sussidi ai richiedenti asilo: finora le persone in attesa ricevevano un sussidio sociale di 143 euro in contanti ogni mese. Tale aiuto sarà convertito in gran parte in beni e servizi.
Ciò allungherà, tuttavia, le procedure burocratiche: i richiedenti asilo dovranno infatti fare richiesta all’amministrazione del centro di accoglienza ogni volta che avranno bisogno di denaro per spese accessorie, come l’acquisto di biglietti per il trasporto pubblico.