Siamo agli inizi degli Anni Sessanta e il successo dei magliari napoletani con i loro primi ristoranti e pizzerie nelle varie città della Germania occidentale, e anche in quell’isola politica che era allora Berlino-ovest, è un segnale il cui significato non sfugge a quegli italiani che lavorano in altri settori economici e che nel loro tempo libero vanno in giro per la città alla ricerca di qualcosa che ricordi loro l’Italia. Con grande anticipo rispetto all’industria e alla politica italiana, costoro intuiscono che sul mercato tedesco c’è una considerevole domanda di prodotti alimentari e di cucina italiana che aspetta solo di essere soddisfatta. Da un’ottica tedesca si guarda alla ristorazione francese con rispettosa distanza e con tiepido interesse. Per il resto, in mancanza d’altro, qualche diversivo il consumatore tedesco lo trova nella cucina cinese che però è qualcosa di molto diverso e molto lontano dal ricordo delle prime esperienze fatte durante le prime vacanze del dopoguerra nei ristoranti delle varie località turistiche italiane.

Stando così le cose, non meraviglia che non abbia tardato a mettersi in moto la macchina della spontanea ristorazione italiana dei “Gastarbeiter”, dapprima timidamente e poi con sempre maggior baldanza. Sempre nella prima metà degli Anni Sessanta entrano in scena anche nelle varie città tedesche anche alcuni professionisti della cucina italiana. Alcuni dei quali anche con iniziative di tutto rispetto, le quali però stranamente si concludono al massimo nell’arco di un decennio senza lasciare un seguito. Una di queste, la più vistosa che personalmente ricordo, è quella cui diede vita Ennio Sinigo, un imprenditore triestino dotato di molta iniziativa ma con un passato non troppo fortunato nella sua attività di forniture marittime e che agli inizi degli anni Sessanta decide di trasferirsi in Germania, a Düsseldorf, come rappresentante di una ditta che gli aveva dato l’incarico di vendere macchine agricole. Anche in questa nuova attività, però, Sinigo non ha molto successo e una sera piuttosto depresso si trova a mangiare un “Wurst” in un locale della famosa Altstadt della città renana, il cui proprietario gli confessa di averne abbastanza e di voler cedere la sua attività. Detto e fatto, dopo qualche settimana di trattativa i due concludono l’affare grazie a un amico di Trieste che presta il denaro necessario a Sinigo.

La pizza debutta nella Altstadt

Il quale così agli inizi del 1966 è in grado di riaprire il locale completamente rinnovato al quale dà il nome di Piccolo”, un nome che rispecchiava le sue ridottissime dimensioni. Nell’Altstadt di Düsseldorf, un lunapark gastronomico a pochi passi dal Reno dove in poco più di un chilometro quadrato si susseguono più di 300 locali, Sinigo fa così il suo debutto nella ristorazione. Partito inizialmente con l’idea di non far pizze, alla fine però un suo dipendente lo convince che non poteva assolutamente farne a meno. Allora in tutta l’Altstadt c’era un solo ristorante italiano con una cucina abbastanza raffinata e che la pizza la preparava nel retrobottega facendola pagare ai clienti come fosse un secondo piatto. “Io, invece, sistemai il forno della pizza ben in vista sull’entrata in modo che tutti i clienti lo potevano vedere e cominciai a vendere la pizza a un prezzo diciamo così normale. Quel forno si trasformò presto ai miei occhi in un vero pozzo di petrolio, tanto che all’inizio faticavo veramente a nascondere la mia sorpresa per il numero delle pizze che ogni sera riuscivo a vendere”. Dimenticate così abbastanza presto le più immediate preoccupazioni finanziarie, rimane per Sinigo il cruccio di aver rinunciato al progetto di fare una cucina “seria” anche perché non aveva né il personale né lo spazio necessario per cucinare quel pesce che in un ristorante di un vero triestino non poteva assolutamente mancare. Ormai però nel frattempo la fortuna sembrava passata dalla parte di Sinigo.

Piccolo formato kolossal

Quasi di fronte al “Piccolo” c’erano i ruderi di un grosso edificio bombardato durante la guerra e Sinigo saputo che l’edificio era disponibile, con il sostegno di una società d’investimento svizzera decide di aprire un nuovo “Piccolo”, questa volta in formato kolossal. Nello stesso tempo ristruttura il vecchio locale facendo diventare un ristorante specializzato in piatti a base di pesce che arriva giornalmente freschissimo per aereo direttamente da Trieste. Ormai la propensione naturale a pensare e a fare le cose in grande ha il sopravvento e Sinigo inaugura la nuova pizzeria nell’Altstadt di Düsseldorf che la stampa tedesca celebra subito come la più grande e la più moderna pizzeria della Germania con caratteristiche tecniche fino a quel momento mai viste. Naturalmente una realtà così non poteva essere inaugurata come fosse un qualsiasi locale e Sinigo decise di farlo preparando per gli invitati una pizza che allora fu festeggiata come la più grande pizza mai vista al mondo. “Un vero capolavoro d’ingegneria culinaria se così posso definirla, un enorme disco con un diametro di cinque metri, preparato in tanti settori concentrici di pasta grandi quanto il forno poteva contenere e poi incollati con formaggio e pomodoro fuso su un telaio appositamente costruito. A inaugurazione conclusa non ne rimase nemmeno un solo centimetro quadrato!”.

Un altro capolavoro della nuova pizzeria “Piccolo” è la dimensione della cupola semovente di plastica che fa ancor oggi da tetto al locale e che allora fu ammirata da tutti gli esperti di Duesseldorf, città dove ogni anno si svolge la Kuststoffmesse, la fiera internazionale della plastica. Basta la pressione di bottone e la cupola si apre e si chiude. Quando c’è bel tempo a cupola aperta si è praticamente come su una terrazza, mentre d’inverno basta un minuto di apertura per rigenerare l’aria e far sparire così molto rapidamente gli odori i vapori. Un dispositivo tecnico che si rivelò indispensabile per una pizzeria in grado di servire qualcosa come cinquemila pizze al giorno. Sinigo nella progettazione della sua grande pizzeria non s’era dimenticato dei bambini dedicando ai piccoli clienti una loro sala nella quale essi potevano gustare minipizze e insieme proiezioni di cartoni animati: una vera novità allora per i ristoranti tedeschi che ancor oggi non sono particolarmente attenti alle esigenze di un pubblico minorenne. Nei suoi frequenti viaggi verso Trieste, la sua amata città natale, Sinigo a bordo di una delle sue potenti vetture amava far tappa a Kitzbuehel, uno dei più rinomati centri turistici dell’Austria. Fu così che dopo qualche anno un bel giorno decise di aprire nel famoso centro turistico austriaco un altro ristorante “Piccolo”, invitando all’inaugurazione 800 scolari del luogo a mangiare la sua pizza. Alla specialità napoletana, inizialmente sottovalutata, Sinigo non ha più rinunciato, ma il “Piccolo” di Kitzbuehel, dove molti illustri personaggi internazionali hanno la loro villa estiva o invernale, si può ordinare la cucina italiana di livello e naturalmente soprattutto pesce triestino.

Sia il “Piccolo” di Düsseldorf, sia quello di Kitzbuehel sono ormai passati di mano e da quanto si dice, Ennio Sinigo sarebbe andato a vivere a Montecarlo, dove probabilmente anche lì avrà forse aperto un altro “Piccolo”. Di personaggi più o meno di questo stampo la ristorazione italiana all’estero ne ha avuto molti nella sua fase iniziale a riprova del fascino esercitato della cucina italiana e della sua capacità di rappresentare un certo “stile di vita”. Nel corso delle prossime puntate avremo modo di parlarne e di capire il motivo del successo di tante iniziative che hanno alla base un’unica spiegazione, la matrice salutistica e il fascino della tavola “made in Italy”.

Foto: La pizza più grande al mondo di Sinigo (Archivio)