Alla fiera CES – Consumer Electronic Show – svoltasi nei primi giorni di gennaio a Las Vegas l’industria automobilistica ha fatto la parte del leone anche grazie alle negative ripercussioni del dieselgate che da tre mesi a questa parte domina le prime pagine della stampa internazionale. Col motore diesel in crisi, accusato di essere pericolosamente inquinante tutto ciò che nell’auto è elettrico o elettronico ha preso letteralmente il volo. Ne approfittano ovviamente anche le tre grandi dell’auto “made in Germany”, soprattutto la Daimler che ha presentato a Las Vegas un modello futuristico di un’auto elettrica che si guida da sola. Anche BMW e Volkswagen hanno esposto modelli di auto a sola trazione elettrica facendo tutto il possibile per non parlare di auto diesel che fino a qualche mese fa era il loro grande cavallo di battaglia.
L’auto diesel ha decisamente alle spalle l’apice del suo successo ed è ormai sul viale del suo tramonto, dicono tutte le recenti inchieste anche se i modelli SUV continuano a godere il favore di molti acquirenti. Lo scandalo della manipolazione dei motori diesel ha investito in pieno non soltanto la Volkswagen ma anche l’intera automobilistica tedesca e di riflesso anche il mondo politico di Berlino e di Bruxelles che negli ultimi anni non aveva lesinato i suoi sforzi per sostenere questo tipo di trazione dell’auto. La caratteristica di questo scandalo è il comune denominatore di una totale estraneità proclamata a gran voce da tutti i principali protagonisti dell’industria automobilistica tedesca, a partire dal vertice Volkswagen per finire con la Bosch di Stoccarda fornitrice del software ideato per manipolare i dati delle emissioni durante i test ufficiali.
Denunce senza esito
Nel frattempo le Procure giudiziarie di mezzo mondo, in Europa in Usa e in anche in Cina sono al lavoro per cercare di capire come mai le varie autorità non siano mai andate a fondo del problema dopo le diverse segnalazioni che denunciavano, anche in termini piuttosto espliciti, l’esistenza di manipolazioni sui dati d’inquinamento dei motori diesel. Come la lettera firmata dal TÜV, uno degli enti tedeschi addetti al controllo biennale delle auto in circolazione, e inviata all’Ufficio federale della Motorizzazione tedesca (KBA), o come la lettera fatta pervenire nel 2012 a Bruxelles all’allora Commissario europeo all’Industria, Antonio Tajani, da un produttore tedesco di componenti auto che denunciava l’esistenza del famigerato software della Bosch. Nel frattempo l’Ufficio europeo contro le frodi (Olaf) ha avviato un’inchiesta a carico del gruppo Volkswagen per capire come abbia speso i 4,9 miliardi di euro ottenuti a partire dal 1990 dalla Banca Europea d’Investimento per migliorare l’ecologia dei suoi motori. Se va male Volkswagen sarà costretta a restituire l’intera somma. In attesa di apprendere almeno un solo nome di un responsabile del colossale imbroglio, l’industria automobilistica tedesca si dà da fare per mettere in grado i suoi motori di rispettare nel più breve tempo possibile i limiti ai gas di scarico imposti dall’UE. La Germania non è il solo Paese dove cresca la tendenza a proibire o a limitare la circolazione delle auto diesel soprattutto nell’aera delle grandi città.
Problemi per i grossi diesel
Ovunque nel mondo sta crescendo la domanda di auto elettriche, sia negli Usa, sia a Pechino, colpita da una forte ondata di smog, sia a Nuova Dehli , dove il massimo tribunale dell’India ha sospeso la registrazione delle auto diesel con una cilindrata superiore ai due litri fino a tutto marzo. La motivazione del tribunale è molto esplicita e indurrà a riflessioni soprattutto i produttori e anche i politici europei: “Ai ricchi non sia permesso di inquinare l’aria con le loro grosse e lussuose auto diesel”. La regione di Nuova Dehli è un importantissimo futuro mercato per l’auto “made in Germany”, che secondo il settimanale tedesco FOCUS sarebbe attaccata al diesel “come un tossicodipendente alla siringa”. Nel frattempo VW, Daimler e BMW avrebbero capito che non passerà molto tempo perchè anche altre magalopoli nel mondo seguano l’esempio di Pechino e di Nuova Dehli. L’’hanno capito nel frattempo anche i politici europei, a partire dalla cancelliere Angela Merkel che fino a ieri aveva spalleggiato Volkswagen, Mercedes e BMW nei loro sforzi di indurre Bruxelles a inviare l’entrata in vigore di più severe norme per i gas di scarico delle auto.
La Germania non produce batterie
Per l’industria tedesca l’auto elettrica, almeno fino al dieselgate, era una cosa ancora molto lontana e lo si capisce dal fatto nessuno in Germania ha sinora mai pensato di produrre le batterie necessarie per questo tipo di auto. In Cina, invece, già per quest’anno è previsto un raddoppio dell’entrata in circolazione di auto elettriche, oltre mezzo milioni di unità, di cui circa la metà saranno prodotte dalla Saab, marca ormai di proprietà della società cinese Nevs. La forte caduta del costo di produzione delle batterie per le auto elettriche faciliterà anche all’industria automobilistica tedesca un maggior impegno in questo settore, ma il problema sarà la conversione dei posti di lavoro legati alla produzione della componentistica tradizionale e anche un accordo politico sulla portata delle sovvenzioni pubbliche a favore della produzioni di auto elettriche. Ciò vale in modo particolare per il gruppo Volkswagen che gestisce in proprio molte fabbriche di componenti, i cui dipendenti percepiscono salari di circa 30% superiori alla stessa media tedesca, per non parlare poi di quella europea o di quella italiana.
Il nuovo amministratore delegato (ad) Volkswagen, Matthias Mueller, dovrà stare molto attento a non ripetere gli errori del suo predecessore Winterkorn che si è giocato l’incarico sostenendo che “ridurre di un grammo di CO2 i gas di scarico sarebbe costato alla Volkswagen centinaia di milioni di euro”. Erano troppi secondo Winterkorn. Però ora la Volkswagen rischia di perdere miliardi con tutti i processi che dovrà prossimamente affrontare. Uno dei tanti problemi che la Volkswagen non riuscirà facilmente a risolvere, almeno nel medio termine, è il fatto di essere sotto un certo aspetto anche un gruppo statale, perché in base alla cosiddetta “legge VW” le grandi decisioni, anche quelle che hanno l’avvallo della maggioranza azionaria delle famiglie Porsche e Piech, per essere approvate hanno sempre bisogno in ogni caso dell’assenso del governo della Bassa Sassonia, che ha una quota azionaria del 20,1 per cento. Governare in simili condizioni un gruppo industriale delle dimensioni della Volkswagen non sarà facile per l’ad Mueller. Egli dovrà, infatti, riuscire nel non facile compito di ottenere molti, troppi consensi: quello della maggioranza azionaria Porsche-Piech, il nulla-osta del Land della Bassa Sassonia forte della “legge VW” e, infine, anche quello di una rappresentanza sindacale eccezionalmente compatta, esigente (“la VW siamo noi”) e particolarmente aggressiva.