Integrazione ed esclusione, cittadinanza nazionale e cittadinanza europea, associazionismo e individualismo: i nodi problematici che riguardano la comunità italiana in Germania riguarda anche i nuovi arrivati, gli immigrati di ultimissima generazione che rifiutano l’etichetta di “migrante” e si considerano cittadini europei in mobilità. Salvo poi verificare sulla propria pelle come le differenze tra stati nazionali della vecchia Europa siano ancora fortissime. Il Comites di Berlino- Brandeburgo organizza periodicamente degli incontri per la comunità sperimentando una formula nuova che si chiama “Microfono Aperto”: niente assemblee con relatori ufficiali, niente esperti che istruiscono la platea su leggi, norme e decreti, ma una discussione veramente “aperta” a tutti. L’ultimo di tali appuntamenti ha avuto luogo lo scorso 12 dicembre nelle sale della Società Dante Alighieri con un titolo accattivante “Italiani: cittadini europei a Berlino?”. Il Corriere d’Italia ha rivolto qualche domanda a Simonetta Donà.
In cosa consiste di preciso l’iniziativa “Microfono aperto” e quali sono le sue finalità?
Da alcuni anni il nostro Comites cerca di interagire e dialogare con la comunità in maniera più articolata e mirata anche a fronte dei cambiamenti in atto nella collettività a Berlino. Un’iniziativa come “Microfono aperto” permette al Comites di operare in maniera più aderente alla realtà e consente alla comunità di essere più presente con i suoi bisogni nelle progettualità messe in atto dalle istituzioni. Negli ultimi anni le attività del Comites si sono focalizzate sul tema del lavoro. Oggi vogliamo concentrarci sulla questione dell’Europa e dell’identità europea anche in occasione del premio Nobel per la pace conferito quest’anno proprio all’Europa.
Ultimamente si dice e si legge che l’europeismo è in una fase di regressione. Secondo lei è davvero così? Vedremo mai un’Europa politicamente unita?
Tanto dipende da noi, in quanto cittadini: non bisogna lasciare tutto solo in mano ai burocrati e poi limitarsi a lamentarsi. Il nuovo Presidente del parlamento europeo, Martin Schulz, ha sottolineato come sia importante che l’Europa diventi finalmente un soggetto più politico e che al Parlamento Europeo vengano assegnati maggiori poteri. Purtroppo ancora oggi in molte materie la legislazione rimane a carattere esclusivamente nazionale. Forse allo stato attuale potrebbe essere più produttivo lavorare in direzione di un’Europa delle Regioni dove il carattere federalista venga più accentuato.
Qual è l’identità degli italiani che vivono a Berlino? Sono davvero cittadini europei?
Non posso ovviamente parlare per tutti gli italiani di Berlino, ma certo per la mia generazione e forse anche per la generazione precedente, vi era un qualcosa di simbolicamente “europeo” nel fatto di scegliere come propria città Berlino. Il definirsi “europei” permetteva forse di rimarcare l’appartenenza europea della città divisa fra l’est e l’ovest. Non saprei dire se la mobilità dei giovani d’oggi sia motivata da una loro appartenenza alla cittadinanza europea, ovvero come negli anni ‘60 dalla necessità materiale. Le migrazioni recenti da un lato mi appaiono più europee perché mobilità e tecnologie hanno permesso un’interconnessione e una comunicazione ampia e forte su tutto il territorio, ma dall’altro lato i giovani migranti di adesso sembrano meno legati ad un senso di appartenenza ad un’ideale comunità Europea.
Qual è secondo lei il livello di integrazione della comunità italiana a Berlino?
Ritengo che la comunità nel suo complesso abbia sviluppato una buona integrazione culturale e sociale, anche se sussistono problemi a livello economico causati dal mercato del lavoro che a Berlino non è non ancora ben sviluppato. La maggior parte delle assunzioni e dell’impiego resta nell’ambito delle cosiddette “creative industries”. Esistono ovviamente anche delle eccezioni, soprattutto nelle nuove ondate migratorie dove spesso il problema linguistico non permette un’adeguata integrazione.
È dunque vero che i nuovi italo-berlinesi, quelli della cosiddetta “mobilità EasyJet” sono tanto differenti rispetto alle generazioni precedenti?
Alle volte ho l’impressione che noi, la mia generazione, eravamo più interessati ad avere contatti con il mondo tedesco e il legame con gli altri italiani non era prioritario. Le nuove migrazioni appaiono spesso più interessate a muoversi all’interno delle loro reti sociali, forse perché a differenza di allora, hanno maggiormente bisogno di informazioni, o forse perché l’arrivo a Berlino non è stato il frutto di una scelta o di un progetto, ma un’opportunità data dalla relativa economicità dei mezzi di trasporto e dalle possibilità di comunicazione che permettono di mantenere un continuo contatto con la madrepatria.
Che rapporto hanno i nuovi arrivati con le istituzioni italiane, a partire dal Comites?
Hanno rapporti molto spesso mediati da altre reti di relazione che sono quelle che li accolgono al momento del loro arrivo. Spesso non ritengono le istituzioni italiane in grado di aiutarli adeguatamente nel loro processo di integrazione e spesso neppure s’informano al proposito. Questo purtroppo non aiuta le istituzioni stesse che non hanno i mezzi per comprenderne le necessità. Pur nella difficoltà dei tagli alle strutture estere si potrebbe lavorare in maniera più capillare e specifica proprio in questo senso creando un rapporto di interscambio tra istituzioni e cittadini. L’iniziativa “Microfono aperto” può essere un modello utile anche per questo.
Quanto pesano ancora i vecchi stereotipi sull’italianità nell’inserimento degli italiani residenti a Berlino?
Pensando in maniera positiva devo dire che esistono ancora delle nicchie dove l’italianità garantisce un qualche successo economico: mi riferisco agli stereotipi postivi sullo stile di vita degli italiani, considerati conoscitori e intenditori, creatori di moda e design, amanti del buon vivere e della buona cucina. Allo stesso tempo permangono in alcuni settori, soprattutto nelle professioni che richiedono più precisione e accuratezza, certi pregiudizi di superficialità e faciloneria che possono ancora oggi mettere in discussione a priori il lavoro svolto.
Secondo lei perché così pochi italiani, sia pur residenti da tanti anni in Germania, chiedono la cittadinanza tedesca?
Forse perché questi ultimi si sentono veramente europei e non hanno bisogno di avere un’altra cittadinanza nazionale, ma preferirebbero da subito avere una vera cittadinanza europea, non solo ideale e simbolica, ma anche concreta.