In Italia le Tv hanno fatto saltare tutti i programmi per omaggiare Dario Fo, drammaturgo, attore, regista, scrittore, pittore, scenografo italiano che, nel 1997, a Roma, ricevette la Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, ma anche il Nobel per la letteratura, premio considerato “una vergogna!” da Fini, ironizzato da Casini, negativamente commentato da Mons. Maggiolini, secondo il quale “una volta avevamo Dante e Manzoni”, e biasimato dall’Osservatore romano: “Dopo cotanto senno, un giullare”. Una divisione tra simpatizzanti e nemici, come successo alla sua morte.
Contrasti dovuti al fatto che a qualcuno piacevano i suoi testi teatrali di satira politica e sociale; altri invece, pur apprezzando le sue opere, gli rimproveravano la sua continua volubilità politica, dovuta al vantaggio economico e sociale che gliene derivava. E che lo spinsero, prima, ad essere fascista e, dopo l’8 settembre, ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana; poi, quando Hitler ed il fascismo furono sconfitti, riciclarsi a sinistra, cantare Bella Ciao e simpatizzare per la sinistra della lotta armata. E a firmare il manifesto che auspicava la condanna a morte del commissario Calabresi, nel 1972 ingiustamente accusato di aver assassinato l’anarchico Pinelli, nel 1969 precipitato da una finestra della questura di Milano, dove era trattenuto per accertamenti in seguito alla esplosione di una bomba in piazza Fontana.
Il che spinse Oriana Fallaci a definirlo: “Un fascista nero diventato fascista rosso”. In effetti, quando la rivoluzione comunista fallì dopo aver seminato sangue, il giullare si dedicò a tempo pieno all’impegno teatrale. Nel 1969, scrive e recita Mistero Buffo, un mix di populismo, comunismo e anticlericalismo che gli aprirà la strada al Nobel del 1997, assegnatogli “perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Una rappresentazione approvata dalla sinistra dell’epoca cui il giullare non si sottrae, mettendosi per un ventennio alla testa dell’antiberlusconismo. Quando la sinistra si sfalda, Fo passa a Grillo, suo nuovo protettore in ascesa, inchinandosi sempre al potente di turno. Come fece, benché da antimonarchico, davanti al Re Carlo XVI Gustavo di Svezia che gli consegnò il Nobel per la letteratura ed il relativo compenso di un miliardo e 400 milioni di lire. Nelle motivazioni del Premio, era definito “figura preminente del teatro politico che, nella tradizione dei giullari medievali, ha fustigato il potere e riabilitato la dignità degli umiliati”. Ai quali, in effetti, dedicò quei soldi creando, insieme alla moglie Franca Rame, l’Associazione Il Nobel per i disabili che, tra l’altro, acquistò e donò pulmini a chi si occupa di persone con diversa abilità.
Quando i soldi finirono, iniziarono entrambi a fare spettacoli gratuiti. Tanta generosità verso i poveri certo da apprezzare, che in certo senso contrasta con il suo ateismo, la passione per i Vangeli apocrifi, nonché con il suo stupore di fronte alla bellezza del Creato che lo spinge a chiedersi “chi possa aver inventato tutto ciò, se Dio non esiste”. E a domandare a chi crede in Lui, “perché ci ha creato peccatori? Non poteva farci perfetti?”. Come San Francesco che “non voleva che la raccolta della carità della gente si trasformasse in una forma di potere”.
Egli era convinto che “Dio ci ha dato gratuitamente cose essenziali come l’acqua, l’aria, il sole, la terra” … ed oggi siamo arrivati a rubare l’acqua a Dio e ai poveri cristi. Il mondo è distrutto dall’avidità”. Generoso ma sempre ateo, fino alla fine. Il suo funerale è stato celebrato in piazza del Duomo di Milano, ove si è svolta la cerimonia funebre dopo il corteo iniziato dal Piccolo Teatro, dove migliaia di persone hanno scandito “Dario, Dario”. Grida seguite da applausi, mentre dagli altoparlanti partiva una delle sue canzoni, Stringimi forte i polsi. Canti, urla ed applausi, ma nessuna immagine sacra né un sacerdote.
Solo la bara piantonata da due gendarmi, il figlio Jacopo con la famiglia, una numerosa delegazione dei 5 Stelle, compresi Grillo e Casaleggio, l’amico fraterno Carlin Petrini che ha tenuto l’orazione funebre per celebrare “il più grande tra di noi, che aveva la capacità di dileggiare i potenti con uno sberleffo”. In quanto, secondo Petrini, in lui erano “inseparabili arte e politica”. Il che gli permise di divertire con le canzoni ed i suoi scritti migliaia di persone. Molte delle quali hanno partecipato al funerale.
Nonostante la pioggia, meritandosi quel “grazie compagni, grazie” espresso alla fine, con il pugno chiuso, da Jacopo Fo, secondo il quale i suoi genitori “non hanno mai piegato la testa”. Neppure davanti alle chiese viste come simboli del potere religioso. Compresa la Cattedrale milanese dove il giullare non ha mai voluto entrare. Riposi in pace.
Foto: Dario Fo