Più di duecento milioni di persone. Se fossero una nazione sarebbero la quinta del mondo, oltre che una delle più giovani, poiché poco meno della metà dei suoi abitanti avrebbe meno di 24 anni. Chi sono? Sono i disoccupati del pianeta. A diffondere il dato è stato a gennaio l’Ilo, l’agenzia Onu che si occupa di questioni legate al lavoro. In base al report “Tendenze globali dell’occupazione 2012: prevenire una crisi più profonda dell’occupazione” il numero di disoccupati è vertiginosamente cresciuto da quattro anni a questa parte, ossia dallo scoppio, nel 2008, della crisi finanziaria.
Da allora i disoccupati sono cresciuti di circa 29 milioni e il rapporto tra popolazione e occupati è cresciuto di un punto percentuale, toccando il fondo peggiore dal 1991 (60,2%). A preoccupare in particolar modo gli osservatori è la condizione dei giovani. La disoccupazione giovanile è infatti una delle voci peggiori dell’intero report: “I giovani – dicono dall’Ilo – sono nella posizione più grave per quel che riguarda l’occupazione; a rendere tutto più difficile, poi, c’è il fatto che le prospettive per loro sono tutt’altro che incoraggianti. In base ai dati in nostro possesso oggi, le speranze di un aumento delle prospettive di occupazione per loro nel breve/medio termine sono minime”.
Uno scettiscismo, quello dell’agenzia Onu, che si ripercuote anche su chi il lavoro deve cercarlo, o meglio, smette di farlo: i "discouraged workers", ossia persone che non provano nemmeno a cercare lavoro, convinti che tanto sia inutile, costituiscono buona parte dei 29 milioni di "nuovi disoccupati" arrivati con la crisi. La loro accidia però potrebbe essere motivata: in base alle previsioni dell’Ilo se i trend economici non cambieranno sensibilmente entro i prossimi mesi la situzione del lavoro potrebbe ulteriormente peggiorare e arrivare, nel 2013, a 209 milioni di persone disoccupate. Che fare dunque per uscire da questa spirale negativa?
Il report, dopo aver delineato i numeri relativi alla disoccupazione mondiale e alle sue cause, prova a tracciare alcune ipotesi che potrebbero giovare all’occupazione mondiale: le condizioni di cui il mondo, oggi, non può fare a meno sono, secondo i ricercatori, un impegno degli Stati leader (cioè il G20) ad attuare una politica comune di sviluppo e occupazione; un impegno, di nuovo comune, per sistemare i dissesti della crisi finanziaria, e l’intervento di capitali privati per creare nuova impresa e nuova occupazione. Per compensare la fame di lavoro l’Ilo stima siano necessari tra i 400 e i 600 milioni di nuovi posti nei prossimi 10 anni. Nonostante questo, però, ammesso che si possa sanare la piaga della disoccupazione, questo non comporterebbe automaticamente il risanamento anche di quella della miseria: “Per generare una crescita sostenibile e una accettabile coesione sociale – recita il report – il mondo deve vincere una nuova sfida: creare 600 milioni di posti di lavoro entro i prossimi 10 anni. Un obiettivo che, comunque, una volta raggiunto lascerebbe ancora 900 milioni di lavoratori e le loro famiglie nelle condizioni di vivere con due dollari al giorno, ben al di sotto della soglia di povertà”.
Per quanto riguarda l’Italia, i dat sono ancora più preoccupanti. Dopo l’allarme lanciato dall’Istat, qualche mese or sono, arrivano le rilevazioni della Cgia di Mestre a completare il quadro sul mercato del lavoro in Italia. La disoccupazione giovanile reale, che comprende i cittadini tra i 18 e i 24 anni senza lavoro o inattivi perché sfiduciati dalla crisi, tocca il 38,7%. In testa alla classifica regionale c’è la Campania (51,1%), seguita dalla Basilicata, al 48,3% e dal Lazio, con il 42,5%. I dati si riferiscono al secondo trimestre 2011. Il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, ha spiegato.
«Questo dimostra che il problema dei senza lavoro tra gli under 24 costituisce una priorità che il governo deve affrontare immediatamente». Tuttavia, ci sono anche delle situazioni regionali dove il quadro generale è capovolto: «In Sicilia, in Sardegna, in Calabria e in Umbria il tasso di disoccupazione, al netto degli scoraggiati, è superiore al tasso di disoccupazione reale da noi calcolato. Ciò vuol dire che in questi territori gli sfiduciati sono diminuiti perché sono tornati a cercare attivamente un lavoro o, nella migliore delle ipotesi, hanno trovato un’occupazione»