Indignati è dire poco. A leggere la sentenza della Corte internazionale di giustizia c’è davvero da rabbrividire. Stavolta anche i più ostinati avranno capito che non si tratta di una simpatica disputa campanilistica, una specie di Peppone e Don Camillo tra tedeschi e italiani: stavolta ci è stata sbattuta in faccia una vera ingiustizia, quella che è stata sempre dissimulata con ipocrisia e bonomia fasulla. Ciò che preoccupa è la triste coincidenza con i giorni della memoria, in cui si ricordano le vittime dell’olocausto nazista: per primo c’è stato il disgustoso articolo dello Spiegel, che aveva approfittato della sciagura del Concordia per sfogare il proprio infame razzismo contro l’Italia. Ricordiamo che quel giornale è recidivo, essendosi sempre distinto per sciovinismo e livore contro di noi, rappresentati dalla famigerata immagine della p 38 su un piatto di spaghetti.
E ricordiamo pure che stavolta c’è stata, vivaddio, la risposta del nostro Ambasciatore a Berlino, affiancata sulla stampa da un’ondata di sdegno da parte dei nostri migliori opinionisti. Ma mentre si consumavano tali polemiche, con paradossale tempismo arrivava la doccia fredda della Corte internazionale. È successo che la nostra Cassazione da qualche tempo si era orientata a riconoscere la responsabilità per i danni di guerra, anche in sede civile, accogliendo le domande di quanti avevano patito soprusi e deportazioni da parte dei militari tedeschi nella seconda guerra mondiale. Va detto che tale diritto spetta anche e soprattutto agli eredi dei danneggiati, poiché si tratta di crimini contro l’umanità e, come tali, sono perseguibili sempre e comunque.
Va detto pure che spesso e volentieri la magistratura tedesca ha bellamente ignorato questi princìpi, ad esempio tutte le volte che ha trattato le vigliacche fucilazioni di massa come dei “semplici” omicidi; e siccome l’omicidio in Germania va in prescrizione, ha addirittura archiviato i procedimenti contro i criminali di guerra. Da ciò si può capire con quanta rabbia le autorità tedesche abbiano accolto la sentenza del 2008 sul caso Milde. In quella decisione, la Cassazione aveva ribadito la priorità dei diritti fondamentali dei danneggiati e, quindi, la possibilità di pignorare, ipotecare, sequestrare, insomma di mettere in atto ogni azione nei confronti delle autorità tedesche allo scopo di ottenere i risarcimenti dei danni. La Germania, da parte sua, si è sempre fatta scudo con il principio di sovranità, secondo il quale uno Stato praticamente non può essere giudicato da un altro Stato. E per tali motivi aveva fatto ricorso contro la sentenza della Cassazione, portando la questione davanti alla Corte di giustizia.
Ed ha avuto ragione. Ora, le sentenze non si discutono ma si accettano, è vero, ma qualche osservazione va fatta. Senza cadere nei dettagli tecnici, va solo ricordato che l’Italia aveva pure proposto domanda contro la Germania; così come la Grecia aveva chiesto di intervenire nel processo per tutelare propri analoghi diritti. È finita che sia l’Italia che la Grecia sono state sdegnosamente respinte dai giudici internazionali. Nel merito, la sentenza è stata fatta oggetto di critiche anche pesanti da giuristi ed osservatori, e probabilmente ci sarà qualche passaggio che non convince. Innanzi tutto, stentiamo a credere che il modello di autonomia ed indipendenza della nostra magistratura possa essere stato già raggiunto da altri ordinamenti, dove esiste invece il primato del potere politico sull’ordine giudiziario.
Così come riesce difficile credere che la collocazione della sovranità tedesca al di sopra del diritto umanitario sia stata una scelta fatta senza remore dalla Corte. Resta il fatto che Germania e Italia avevano già da tempo deciso di risolvere la questione in via stragiudiziale, cioè attraverso le trattative “diplomatiche”, diciamo così. Tuttavia non è ancora chiaro in che modo i singoli e i gruppi associativi potranno richiedere soddisfazione e, soprattutto, a chi dovranno rivolgere le loro richieste. Alla fine dei conti, i rapporti di forza sono decisamente cambiati rispetto a quando il nostro Alcide De Gasperi dovette fare il giro delle cancellerie internazionali con il cappello in mano, pur di convincere gli altri Paesi a riammettere la Germania negli organismi internazionali. Oppure a quando negli anni ’70 il gigante tedesco premeva per affermare le politiche espansionistiche in seno alla CEE e, contemporaneamente, spillava aiuti per sostenere le politiche industriali e, per finire, perveniva alla riunificazione pagata dal contribuente europeo.
Se è vero che la Germania è sempre stata l’azionista di riferimento dell’Unione Europea, è anche vero che la maggior parte degli attuali fallimenti provengono proprio da lì, a cominciare dalla introduzione dell’Euro, che avrebbe dovuto essere uno strumento per assoggettare quante più economie possibili all’influenza tedesca. Anche la virtuosa Germania ha usato qualche accorgimento per apparire sempre più bella e all’altezza del patto di stabilità. E quando non lo ha fatto si è mostrata davvero paurosa ed incerta, come quando l’anno scorso perse preziosissimo tempo prima di considerare il salvataggio della Grecia: tutti ricordano quel periodo come un incubo, con il famigerato spread che seminava terrore ovunque. Ci fa piacere che ogni tanto venga autorevolmente ricordato tutto ciò ai distratti interlocutori, come fece Romano Prodi qualche anno fa, o come sta facendo l’attuale Presidente del Consiglio.
Più volte, infatti, Monti ha stigmatizzato gli atteggiamenti della Germania rivolti irresponsabilmente ad alimentare quel sentimento anti-tedesco che, un po’ alla volta, sta crescendo nelle file di coloro che, già esausti per il duro periodo di crisi, non vogliono finire per essere servi dello straniero. È giusto che la politica svolga il suo compito tutelando il pubblico interesse, ma è ugualmente doveroso porre un limite e affermare con voce chiara e tranquilla il diritto di tutti a usare la propria libertà, contrastando con consapevolezza ogni tentativo di sminuire o degradare il diritto della persona.