Grexit o non Grexit – Grecia dentro o fuori dall’euro – questo è l’amletico dilemma che assilla i governi dell’Unione Europea da quando ad Atene si è insediato il governo di sinistra guidato da premier Alexis Tsipras, vincitore delle elezioni greche del 25 gennaio. Con la palla al piede di un simile problema l’Unione Europea si trova in questo momento a dover affrontare e risolvere la sua crisi di credibilità. Una crisi già da tempo nell’aria e che viene ad aggiungersi a tutti gli altri problemi dell’Unione Europea, dalla crisi economica ancora senza una chiara via d’uscita fino al Medio Oriente e all’Ucraina. Nonostante l’accordo di massima recentemente raggiunto dalla Grecia e dai suoi partner europei, gli esperti finanziari continuano a nutrire forti dubbi sul successo del prolungamento del programma di salvataggio della Grecia.
L’attesa di un’uscita del Paese ellenico dall’euro non è diminuita e anzi nel frattempo è aumentato il pessimismo sulla tenuta della zona dell’euro nel suo insieme. Il timore che nei prossimi dodici mesi almeno uno dei diciannose Paesi esca dall’eurozona è salito al 38% secondo le stime dell’ente di consulenza d’investimento Sentix che calcola mensilmente il cosiddetto Euro Break-up Index (EBI). In lista d’attesa non c’è naturalmente soltanto la Grecia ma anche Cipro, Portogallo e Spagna, due Paesi questi ultimi che in autunno dovranno affrontare le elezioni parlamentari. Per quanto riguarda la Grecia, è divenuto chiaro per tutti il fatto che il premier Alexis Tsipras ha ereditato un Paese pronto ad andare in default nel momento stesso in cui la “Troika” – come si chiamava fino a qualche settimana l’insieme delle istituzioni di Bce, Ue e Fmi – dovesse decidere di staccare la spina al prolungamento del programma di salvataggio della Grecia. Un Paese indebitato fino al collo e che secondo il ministro delle Finanze greco Giannis Varoufakis, un politico che si rivelato un vero provocatore, un complotto internazionale avrebbe già cercato di “asfissiare finanziariamente”.
Di fatto, i conti pubblici del Paese ellenico sono in continuo peggioramento, non solo per lo stallo degli investimenti e dei consumi, ma anche perché molti contribuenti non hanno più pagato le tasse, sia in previsione di possibile ritorno alle dracme, sia anche perché la gente aspetta che il partito Syrizia dopo il suo successo elettorale mantenga la promessa di una generosa rateizzazione delle tasse già scadute o di prossima scadenza. La situazione finanziaria del Paese ellenico è inoltre complicata dal fatto che il suo nuovo governo si trova a dover affrontare sul piano finanziario una vera e propria corsa ad ostacoli, le cui prime tappe dovranno essere superate in uno spazio di tempo molto esiguo da qui fino all’estate. Una corsa che ha qualche possibilità di successo soltanto a condizione che si riesca a dissipare il clima di reciproca sfiducia creatosi a causa dei vaghi e poco impegnativi annunci delle necessarie riforme (“un pressapochissimo produttivo” come l’ha definito molto coloritamente Varoufakis ) e anche a causa della sequenza delle arroganti e irrispettose dichiarazioni del premier Tsipras e del suo ministro delle Finanze nei confronti dell’Eurogruppo, in un linguaggio che sinora in Europa non si era mai sentito e che nelle capitali europee e in modo particolare a Berlino non è per niente piaciuto.
In attesa che la situazione si schiarisca, il ministro delle Finanze si procurerà il denaro di cui ha subito bisogno (complessivamente per quest’anno oltre 17 miliardi di euro di scadenze da pagare entro il 2015) impegnando come garanzia il fondo pensionistico greco. Il mese di marzo è coperto, più avanti si vedrà. Tutto dipenderà dall’attendibilità del dettagliato programma di riforme che il governo di Atene intende presentare entro la fine di aprile. A proposito del quale il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaueble si è affrettato a precisare che gli aiuti finanziari saranno pagati soltanto dopo che il governo greco avrà dimostrato di rispettare credibilmente gli accordi che sono stati presi. Sulla partita in corso tra la Grecia, da un lato, e tra i Paesi dell’Ue e le istituzioni internazionali, dall’altro, è anche complicata aleggia anche lo spettro di un’ipotetica entrata in scena russa, dopo che il governo greco ha minacciato di rivolgersi a Putin nel caso che Europa (leggi Germania) e Usa continuano a imporre precise e severe riforme strutturali come condizione “sine qua non” per proseguire il programma degli aiuti. Una minaccia piuttosto pesante da parte di Atene che nel clima delle attuali tensioni nei rapporti tra Europa e Russia ha alienato in Europa non poche simpatie nei riguardi della Greca. Il resto l’hanno fatto le offensive critiche greche all’indirizzo dei governi di Madrid e di Lisbona, i quali secondo il premier Tsipras avrebbero tentato di mettersi alla testa di una congiura per provocare la caduta del governo di sinistra di Atene.
Una caduta che in ogni modo non si può escludere a priori, se si pensa a ciò che potrebbe succedere quando prossimamente il Parlamento di Atene dovrà votare le riforme strutturali che al più tardi stando al presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem dovranno essere approvate entro la fine di aprile. A questo punto però le difficoltà della Grecia non saranno ancora finite perché il premier Tsipras subito dopo dovrà affrontare in concreto i particolari del terzo piano di salvataggio, sempre che il ministro delle Finanze Varoufakis non lo ritenga davvero superfluo, come ha ultimamente affermato.
Il timore è che Varoufakis intenda davvero chiedere e ottenere dalle istituzioni (Bce-Eu-Fmi) un sostanziale taglio del debito greco. Una richiesta che egli ha già formulato parlando con la stampa e che però il ministro tedesco delle Finanze Schaueble si è subito premurato di escludere categoricamente. Il prolungamento del programma di aiuti, secondo Schaueble, offrirebbe ora al governo di Tsipras la possibilità di fornire una convincente prova della sua ferma volontà di combattere l’evasione fiscale e la corruzione, i principali elementi che hanno portato alla crisi della Grecia, la cui economia è controllata da gruppi oligarchici di potere che hanno ovunque nel Paese potenti e influenti legami. Sono questi gruppi che alla fine decideranno se alla Grecia convenga restare nell’euro, la qualcosa comporterà automaticamente una serie di controlli e di verifiche da parte delle istituzioni internazionali e quindi la fine di una situazione di vuoto concorrenziale nei più importanti settori economici del Paese, a partire da quello particolarmente lucroso degli appalti pubblici.
La vicenda greca è seguita comprensibilmente con grande interesse anche dall’Italia, che dopo Germania e Francia è il Paese che più contribuisce con una quota pari al 17,9% al fondo del meccanismo europeo di stabilità (Esm) detto anche Fondo salva-stati e che è dotato complessivamente di un capitale sottoscritto di 700 miliardi di euro.