La questione se la Germania può, dovrebbe, deve, – o meno – definirsi come “Einwanderungsland”, (uno Stato di immigrazione) è ormai annosa. Ne parlava già Helmuth Kohl in un famoso discorso al Bundestag del 1987, ma ancora molto prima il dibattito era accesissimo. Ora la stessa questione si ripropone con la presentazione, nelle settimane scorse, del nuovo rapporto sulle migrazioni che il governo federale ha commissionato e che ha poi presentato alla stampa. I dati si riferiscono al 2013.
Il dibattito si è acceso, ovviamente, da subito. La Germania ha bisogno di nuove leggi che regolano l’immigrazione, o bastano quelle vigenti? La domanda – la stessa di sempre – trova – come sempre – risposte molto differenziate. Ma vediamo intanto quali sono i risultati più vistosi del Migrationsbericht 2013. Anzitutto il dato riassuntivo. A partire dal 1993 il movimento e il saldo migratorio in partenza e in arrivo è tendenzialmente crescente. Purtroppo il rapporto cita soltanto dati a partire dal 2005. In ogni caso vediamo che, da allora ad oggi, è accaduto il seguente. Sono aumentati gli arrivi in Germania. Nel 2005 giunsero nel complesso 707.352 persone (579.501 stranieri e 128.051 tedeschi). Nel 2013 sono giunte invece 1.226.493 persone (1.108.068 stranieri e 118.425 tedeschi).
Sono aumentate anche le partenze. Nel 2005 se ne sono andate 628.399 persone (483.584 stranieri e 144.815 tedeschi); nel 2013 se ne sono andate 797.886 persone (657.604 stranieri 140.282 tedeschi). Quindi il saldo positivo era di 78.963 persone nel 2005, mentre lo stesso saldo positivo è diventato di 428.607 persone nel 2013. In quest’ultima cifra sono calcolati 450.464 nuovi arrivi di stranieri e 21.857 uscite di tedeschi. È chiaro che, di fronte a queste cifre e a questa tendenza, il dibattito politico tedesco non può che movimentarsi. Interessante e relativamente nuovo il fatto che, a seguito della crisi economica, i citati movimenti migratori avvengono soprattutto nell’ambito dell’Unione europea. Il gruppo più numeroso è quello polacco, con 197.009 arrivi e 125.399 partenze.
Segue il gruppo rumeno con 135.416 arrivi e 85.865 partenze, ed al terzo posto il gruppo italiano, con 60.651 arrivi e 27.903 partenze. Il saldo attivo del gruppo italiano è di quindi 32.748 presenze, e questo soltanto in un anno: precisamente nel 2013, appunto. Nel confronto con l’anno precedente, le presenze italiane sono aumentate di un eclatante 35%. Peraltro – come afferma Thomas Liebig, esperto di processi migratori presso la sede dell’Ocse, l’organizzazione dei Paesi industrializzati: dell’Ocse, l’organizzazione dei Paesi industrializzati: “Le migrazioni all’interno dell’Europa non soltanto sono più imponenti da un punto di vista numerico, ma soprattutto tendono a essere più stanziali, cioè a rimanere più a lungo,con progetti di permanenza nel lungo periodo“.
E per fortuna è così, perché, sempre secondo Thomas Liebig, se non arrivano in Germania nei prossimi venti anni almeno mediamente centomila persone all’anno, l’economia rischia seriamente la catastrofe, con una diminuzione, nel 2050, di quasi dieci milioni di posti di lavoro. Di fronte a questa situazione si è acceso in Germania il dibattito politico tra chi richiede una nuova legge sull’immigrazione e chi pensa che le cose vanno bene come sono. Tra i primi figurano i sindacati, i quali, per bocca di Annelie Buntenbach, del Consiglio di presidenza del Gewerkschaftsbund dicono: “Il crescente numero di immigrati non è ancora un segno che gli stessi sono benvenuti”. La citazione sembra ovvia. Peraltro molti, anche nella Spd, hanno idee più liberali. Thomas Oppermann, responsabile del gruppo parlamentare Spd, ad esempio, ha in mente il modello australiano quando dice: “Dobbiamo dare con una nuova legge sulla immigrazione la possibilità a gente qualificata di emigrare in Germania secondo criteri misurabili di conoscenza della lingua e capacità professionali”.
Nelle settimane scorse è stato discusso anche il modello canadese a punti, che ha peraltro le stesse caratteristiche: chi è utile passa. La questione peraltro non è nuova neppure nella Spd. Il governo Schröder, a suo tempo, emise la celebre “carta verde”, per facilitare l’immigrazione a personale con specifiche competenze professionali. È ovviamente innegabile che una società complessa come quella tedesca abbia bisogno di immigrazione specializzata nei diversi campi della tecnologia e della scienza, ma anche della medicina e in altri campi. Però non pare quello il vero problema della Germania.
Gli ingegneri e gli informatici che, da tutto il mondo, vogliono venire e soggiornare in terra tedesca, riescono senz’altro in una maniera o nell’altra. Il fatto è che premono ai confini tedeschi ed europei masse di giovani di altra natura; giovani che non conoscono la lingua, che non hanno alcuna qualificazione professionale e che arrivano da zone di guerra come la Siria oggi e senz’altro domani l’Ucraina. Questo è il problema urgente, di oggi e del futuro. E forse anche su questo tipo di immigrazione sarebbe utile una riflessione politica più approfondita.