"Tornare indietro? Non ce lo possiamo permettere". Fernando Adolfo Iglesias, docente universitario, giornalista, politico (è stato parlamentare in Argentina), è un grande tifoso dell’integrazione europea. Spagnolo di origine, vive a Buenos Aires, dove è direttore dell’unica "Cattedra Spinelli" esistente al mondo: ovvero un corso universitario in cui si studia il federalismo, al quale l’italiano Altiero Spinelli (1907-1986, fondatore del Movimento federalista, poi membro della Commissione di Bruxelles e quindi del Parlamento europeo) dedicò le sue battaglie politiche nell’orizzonte di un’Europa unita. Ecco perché Iglesias sostiene che il Vecchio continente non può tornare sui suoi passi: "L’Ue ha molti limiti, ma senza di essa rischieremmo di ripiombare nelle guerre e nella povertà".
Professore, cominciamo dai "difetti" di questa Unione europea. Anche perché fra meno di tre mesi si svolgeranno le elezioni per l’Europarlamento e si intravvedono una forte astensione e risultati favorevoli ai partiti euroscettici…
La Comunità europea, oggi Ue, è stata costruita nel secondo dopoguerra su tre principi che oggi non reggono più le sfide del tempo. Anzitutto si è proceduto voltando le spalle ai cittadini: strategia comprensibile dopo due guerre ma i cui rischi Spinelli denunciò subito. Peggio, oggi paghiamo le conseguenze di non avere cambiato strada in tempo, con gli europei che si sentono lontani dalle istituzioni comuni. In secondo luogo si è partiti, nel fare l’Europa, dalle istituzioni economiche e non da quelle politiche: è un problema che l’euro ha ereditato, essendo una moneta senza una governance economica condivisa alle sue spalle. Terzo aspetto: si è trattato di una realizzazione ‚lontana‘ dal resto del mondo, senza una vera politica estera. Ecco perché, se venissero riconosciuti questi limiti, l’Europa dovrebbe imboccare un’altra strada, stando veramente dalla parte dei cittadini, facendo dei passi politici in senso federalista, e ritagliandosi un ruolo da protagonista – come potenza civile – sulla scena mondiale.
Dunque lei sarebbe a favore di una maggiore integrazione economica dei 28 Stati aderenti?
Esatto. Parliamoci chiaramente: nessun Paese europeo da solo può reggere alla competitività sui mercati globali. Dunque Stati e istituzioni Ue dovrebbero cercare, e al più presto, forme rafforzate di integrazione che ruotino attorno all’asse della moneta unica. È quanto, pur con mille fatiche, è stato avviato a partire dalla crisi che, non a caso, si è generata negli Stati Uniti ma ha avuto ricadute più pesanti proprio in Europa, con mercati frammentati e il dollaro come unica moneta di riferimento globale, il che ha dato agli Usa dei vantaggi di cui la Ue non gode. Bisognerebbe operare per creare una moneta per gli interscambi internazionali fatta di tutte le grandi monete del mondo, compreso il dollaro, l’euro, lo yen e il reminbi cinese.
Ma oltre alla moneta e all’economia, non servirebbero grandi ideali, progetti di ampio respiro per far ripartire l’integrazione Ue?
Ne sono più che convinto. Il troppo realismo, la mancanza di ambizione sono tra gli elementi che hanno frenato l’Europa, e che potrebbero portarla alla distruzione per un motivo semplice: perché senza valori e disegni ambiziosi si scade negli egoismi locali e nazionali, proprio come sta succedendo ora, a poca distanza dal voto per il Parlamento di Strasburgo. In questo senso servirebbero una visione alta della politica e istituzioni democratiche sovranazionali forti: perché altrimenti l’economia globale resta senza un corrispettivo politico che – fondato sulle regole della democrazia e del consenso – persegua un bene comune, e non solo gli interessi particolari o quelli dei soggetti più forti.
Da più parti si sostiene che il voto di maggio assegnerà un enorme successo alle forze populiste e antieuropee, diffuse un po‘ ovunque nell’Ue. Lei cosa ne pensa?
Il pericolo c’è, ed è enorme. E lo lasci dire da chi vive in Argentina, dove siamo esperti di populismo! Il vero problema è che i populisti si riempiono la bocca di popolo, dicono di parlare in nome del popolo, ma in realtà non difendono il popolo, le persone comuni, le famiglie, i lavoratori, ma solo i loro interessi. Inoltre i populisti sono anche nazionalisti, mettono le persone e i popoli gli uni contro gli altri. E questa è una storia che purtroppo l’Europa ha già visto tante volte degenerare in sopraffazioni, guerre, fino all’Olocausto.
Chi è contro l’Europa usa spesso motivazioni "valoriali" e identitarie: la globalizzazione e l’Europa sono viste come una minaccia. Lei di che parere è?
Io non vedo contraddizione tra identità locale e orizzonti globali. L’identità va coltivata, è una parte di noi, ci viene trasmessa dalla storia, dalla cultura. Ma oggi ci è richiesto di mettere in gioco tale profilo su un livello diverso, più ampio. Viviamo in un tempo che richiede un radicamento forte e un’apertura altrettanto coraggiosa. Dunque non bisogna guardare al passato? Bisogna farlo per imparare dalla storia. I primi passi dell’integrazione europea risalgono al 1950, esattamente alla metà del secolo scorso. Allora io domanderei a chi non crede a questa Unione europea: preferiresti vivere nell’Europa della prima metà del Novecento, con due guerre mondiali e un livello di sviluppo ben più modesto, oppure in quella della seconda metà? Se facessimo un ragionamento serio su questo versante, risolveremmo molti nostri dubbi.
Lei vive in Argentina, la terra di Papa Francesco. Impossibile non chiederle un commento…
Il Papa sta intervenendo su una serie di temichiave del nostro tempo, con grande rigore e modernità. Mi piacciono molto i suoi riferimenti all’uguaglianza, la sua attenzione ai poveri. Ed esprime sempre bene l’universalismo cattolico: in fin dei conti l’integrazione europea e l’apertura dell’Ue al mondo vanno in quella stessa direzione.