“Noi credevamo” di Mario Martone narra la storia di tre ragazzi del sud (Domenico, Angelo e Salvatore) che reagiscono alla pesante repressione borbonica dei moti del 1828 affiliandosi al movimento della Giovane Italia. Attraverso una serie di episodi che li vedono a vario titolo coinvolti vengono ripercorse le vicende che portarono all’Unità d’Italia. Nel corso degli eventi i tre personaggi finiscono col dividersi.
Angelo e Domenico, di origine nobiliare, scelgono un percorso diverso da quello del popolano Salvatore che a un certo punto viene addirittura accusato da Angelo (ormai votato all’azione violenta ed esemplare) di essere un traditore della causa. Il cast è davvero eccezionale: Toni Servillo nel ruolo di Giuseppe Mazzini, Luigi Lo Cascio in quello di Domenico, uno dei rivoluzionari, Luca Zingaretti interpreta Francesco Crispi e l’intensa Francesca Inaudi veste i panni della principessa Cristina di Belgiojoso. In un incontro con i giornalisti seguito alla proiezione del film il regista Mario Martone ha risposto ad alcune domande:
Qual il senso di un film sul Risorgimento oggi, alla vigilia del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia?
Il film si conclude con le parole «Italia superba, gretta e assassina». Sono parole che riassumono il senso del film, valide ancora oggi. Però persiste anche un’Italia democratica che si è opposta a questi sentimenti negativi. È uno scontro nato proprio durante il Risorgimento. Non si tratta tanto di una lotta tra destra e sinistra, quanto piuttosto tra due anime antropologiche del paese, tra democrazia e autoritarismo.
Si può parlare di un film ideologico?
Assolutamente no. Tutte le parole e i materiali provengono direttamente dalla storia. Il mio è un film storico dove è lo spettatore a creare il collegamento col nostro presente. L’Ottocento non è tanto ricostruito ma scavato nel nostro presente.
Questo non è il primo film dedicato al Risorgimento. C’è qualche regista del passato al quale si è ispirato?
Rossellini è stato la mia guida. Io non mi affido agli estetismi formali, non sento il bisogno di alludere ad uno stile moderno per modernizzare una vicenda. Rossellini mi ha influenzato sia dal punto di vista dell’approccio alla storia sia da quello formale. Ho viceversa evitato l’impostazione viscontiana provando a mettermi a confronto con la realtà dell’epoca e richiamando in parte l’oggi.
Quale effetto si propone di raggiungere con questa pellicola?
È un film tragico, catartico, che spero produca nei giovani qualcosa e tolga al Risorgimento quell’aspetto imbalsamato con cui si racconta nei libri di storia. Per questo ho scelto di raccontare questo periodo storico dal basso, concentrandomi su tre figure minori e immaginarie di cospiratori italiani. Non racconto solo la nascita del nostro Paese, ma anche l’insanabile frattura tra Nord e Sud e le radici spesso malate dell’Italia in cui viviamo.