Il padiglione 5.1 sta nello stesso posto del padiglione 5.0, ma al piano di sopra. Messa così sembra semplice, ma per andare da uno all’altro c’è solo una scala mobile che nessuno vede e tutti finiscono per fare un giro lunghissimo, attraversando parte dell’intrecciato labirinto della fiera di Francoforte. Tra quel saliscendi, alla ricerca del padiglione 5.1, deve essersi smarrito anche Nicola Lagioia, perché Mercoledì 19 Ottobre si è presentato un po’ spaesato, con l’aria di uno che aveva trovato il posto per caso, dopo averlo tanto cercato. L’ho riconosciuto da lontano, quando ancora si guardava attorno con gli occhialoni neri vecchio stile, la figura snella vestita minimal e uno zaino sulle spalle, come lo studente fuori corso che si ripresenta per lo stesso esame.
Una volta davanti alla postazione adibita con luci e microfoni per le interviste e gli incontri con il pubblico, ha salutato la sua editor, la sua traduttrice per il tedesco e ha constatato la cruda verità: nonostante fosse in ritardo di una decina di minuti, la platea davanti alla sua postazione era deserta. L’ho sentito parlare con Paola Barbon, la moderatrice dell’incontro e il dottor Lucio Izzo, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, sono andato a salutarlo ed ecco in lontananza un gruppetto di italiani che portavano a termine il lungo viaggio dal padiglione 5.0. Si poteva cominciare.
Nicola Lagioia, premio Strega 2015 con La ferocia, freschissimo di nomina alla direzione del Salone del libro di Torino, collaboratore di giornali e riviste autorevoli come Internazionale, co-conduttore di Pagina3, la rassegna quotidiana delle pagine culturali di Radio Rai 3, barese classe 1973, è uno tra i migliori scrittori italiani contemporanei e sa di esserlo. Qui a Francoforte ha parlato a lungo del suo ultimo romanzo, che gli è costato quattro anni di lavoro e che ha conquistato consensi unanimi di critica e pubblico.
Non è testo semplice questo La ferocia, ed è un noir anomalo, perché la morte della giovane Clara non è l’oggetto della narrazione, casomai è il pretesto per raccontarne la vita.
Lagioia ha letto le prime facciate del suo scritto, dove di notte troviamo una giovane donna che cammina nuda e piena di sangue sul ciglio della statale Bari-Taranto. Di lì a poco. travolta da un camion, la troveranno morta ai piedi di un autosilo. Per tutti è un suicidio, quello di Clara Salvemini, la terzogenita di una ricca e potente famiglia barese di costruttori. La sua morte recide i precari fili che tengono insieme Vittorio, il capo famiglia, Annamaria, sua moglie e i figli Ruggero, Michele e Gioia. Il romanzo è la storia delle colpe dei genitori che si annidano nelle debolezze dei figli e di un mondo marcio e cinico, dove il denaro sembra poter aggiustare ogni cosa. La violenta scomparsa di Clara dà inizio, in perfetto stile Buddenbrook, alla storia del crollo di una famiglia borghese che con il proprio impero economico intrattiene rapporti foschi e complessi con il potere politico, economico e mafioso.
Lagioia usa parole bellissime e piene di sentimento per descrivere la sua Bari, che non è solo lo spazio fisico in cui si consuma il suo romanzo, ma è una vera e propria protagonista della narrazione. Così come protagoniste sono le parole e la lingua italiana, la ricerca dell’espressione migliore alla luce dell’esatto significato.
In chiusura Lagioia approfitta della platea tedesca e chiede al pubblico, se sia preferibile tradurre il capolavoro di Thomas Mann, Der Zauberberg, con la montagna magica o la montagna incantata? Da questo dettaglio, che Lagioia scherzosamente definisce vitale, egli individua due implicazioni concettuali ben diverse: se è incantata, la montagna è protagonista passiva di un incantesimo da altri ordito; se è magica, la montagna è protagonista attiva di un potere che può sprigionare sugli altri. A dimostrazione che per essere un grande scrittore, le parole le devi amare e non le puoi scrivere a caso, ma le devi cercare con il lanternino finché non le trovi. Con i suoi grandi occhiali neri vecchio stile, Nicola Lagioia ha cercato per quattro anni la maniera migliore per raccontare La ferocia e, a me pare, che ci sia riuscito bene. Per la cronaca, la votazione finisce in parità, 2 a 2, e il mistero, su come si debba definire la montagna di Mann, continua…