Lo scandalo del dieselgate ha compiuto un anno ma la fine dell’incredibile vicenda ancora non si intravede e c’è chi pensa che il peggio sia ancora al di là da venire. Non è, comunque, la prima volta che la Volkswagen si trova in grandi difficoltà e in un certo senso si può dire che a Wolfsburg ci abbiano fatto l’abitudine. Il colpo inferto dal dieselgate è però molto grave e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quel piccolo software celato nei motori Volkswagen, ideato dalla Bosch per falsare l’indicazione dei dati di emissione dei gas di scarico, avrebbe scatenato un simile terremoto in un grande gruppo automobilistico lanciato in una gara mozzafiato alla conquista del primato mondiale di produzione contro la giapponese Toyota.
Certo meraviglia che negli ultimi dieci anni i tecnici europei addetti all’omologazione e alla certificazione dei nuovi motori diesel non si siano mai accorti che la Vw barasse. Nemmeno Bruxelles fino allo scorso anno aveva capito che la favola del “clean diesel” Volkswagen era soltanto fumo negli occhi di ingenui automobilisti.
Grazie al cielo, è proprio il caso di dire, se ne accorsero invece gli americani, da sempre tradizionalmente scettici in fatto di motori ad autoaccensione, fiore all’occhiello dell’industria automobilistica tedesca. Quando lo scorso anno esplose la bomba del dieselgate, la centrale di Wolfsburg si diede subito da fare per accreditare la tesi secondo cui manager di secondo o di terzo rango avrebbero deciso all’insaputa dei loro capi di realizzare con l’aiuto della Bosch un software, montato poi in serie nel motore diesel EA 189, in grado di distinguere tra una prova ufficiale di omologazione e una normale situazione di traffico, fornendo nel primo caso ottimali dati di emissioni di ossido di azoto. Una volta in strada l’auto diesel Volkswagen era libera si emettere tutto il pericolosissimo ossido di azoto che voleva, tanto si sapeva che nessuno avrebbe più controllata.
La truffa andò avanti fino al 18 settembre dello scorso anno quando l’ EPA, le autorità americane per la protezione dell’Ambiente, denunciarono l’imbroglio aprendo contemporaneamente gli occhi anche agli esperti europei e alla Commissione Europea che fino al momento avevano creduto a occhi chiusi alle caratteristiche ecologiche del motore diesel che equipaggiava le vetture Volkswagen, Audi e Porsche.
Ue automobilisti di seconda classe
Il gruppo Volkswagen si trova ora di fronte a un’ondata di richieste di risarcimento danni che se tutto andrà bene si aggirerà sui 35 miliardi di euro. Il gruppo di Wolfsburg ha accantonato 16,2 miliardi di euro che di fatto però saranno appena sufficienti per pagare gli automobilisti americani sulla base dell’accordo già firmato con le autorità degli Usa.
Resteranno poi, per quanto riguardo gli Usa, da pagare i danni all’ambiente e, inoltre, anche quelli che gli azionisti Volkswagen hanno subito in seguito al crollo del titolo Vw in Borsa. Soltanto il gruppo di investimento Blackrock reclama risarcimenti per 2 miliardi, ma a livello globale saranno almeno 10 miliardi di euro.
Nei diversi Paesi del mondo ci sono più di otto milioni di auto Volkswagen taroccate e molti degli 6600 azionisti hanno affidato la difesa dei loro interessi al temutissimo avvocato americano Michael Hausfeld. Le autorità tedesche avranno modo di incontrare Hausfeld il 17 ottobre a Berlino o a Bruxelles dove egli con i suoi colleghi europei preciserà le richieste dei danni da presentare al gruppo Volkswagen. Questo per gli azionisti.
Per quanto concerne gli automobilisti nei paesi della Ue, la centrale Vw di Wolfsburg afferma di non volere in nessun modo al di là di una pura e poco costosa messa a punto dei motori incriminati senza pagare alcun risarcimento di sorta come invece è costretta a fare negli Usa.
Dubbiosa messa a punto
La cosa, comunque, non sarà molto facile perché si ha il sospetto che l’aggiornamento dei motore diesel Vw non sia affatto in grado di assicurare il rispetto delle norme Ue e nello stesso tempo di garantire le originali prestazioni dei motori. Sia il tribunale di Braunschweig, sia la Commissione di Bruxelles hanno ancora molte cose da dire dopo due tribunali tedeschi hanno espresso forti dubbi sulla validità degli aggiornamenti dei motori.
Un ingegnere della Volkswagen, un certo James Robert Liang, ha ammesso la frode del software anti-emissioni e si impegnato a collaborare con le autorità americane, le quali sono riuscite anche a mettere le mani su una lettera in cui la Bosch chiede alla Volkswagen di esentarla da qualsiasi responsabilità.
Vw e Bosch stanno anche cercando di impedire con tutti i mezzi che il materiale d’informazione sequestrato negli Usa venga usato per le indagini in Europa. La Volkswagen ha negato qualsiasi coinvolgimento della sua affiliata Audi (“prima le prove sul tavolo e poi se ne parla”) ma subito dopo è emersa una lettera in cui l’ex amministratore delegato Martin Winterkorn dà istruzioni ai manager negli Usa di ammettere soltanto “in parte” la problematica del software incriminato. Dunque sapeva. Molti e impensabili colpi di scena sono nell’aria e, comunque, le vicende del dieselgate non spariranno tanto presto dalle pagine dei media. Non quest’anno in ogni modo.