Com’è nata l’idea di un nuovo studio aggiornato sulla situazione dei ragazzi italiani in Germania?
L’iniziativa è partita dai Com.It.Es. di Hannover, Dortmund, Colonia, Francoforte, Saarbrücken, Stoccarda e Friburgo che hanno commissionato la ricerca. Da anni mi occupo come ricercatrice della situazione della comunità italiana di Germania, e la condizione dei giovani di origine italiana è stata già oggetto di analisi in alcune mie pubblicazioni.
Ci può dire per sommi capi quali sono le finalità della ricerca?
Si è trattato di uno studio pilota a carattere qualitativo. Come metodo e strumento di rilevazione sono state svolte delle interviste standardizzate con 22 giovani italiani (10 ragazze e 12 ragazzi) residenti in Germania, che hanno frequentato diversi tipi di scuola. Lo studio opera mettendo a confronto biografie scolastiche caratterizzate dal successo o insuccesso. Le interviste “face to face” permettono di comprendere quali sono i processi di socializzazione dei ragazzi, quali le prassi identitarie e che ruolo hanno i diversi capitali (sociale, economico e culturale) nei processi di inclusione o di esclusione dei giovani italiani.
Ogni due anni circa gli uffici della Ausländerbeauftragte pubblicano un rapporto sul tema dell’integrazione con una gran massa di dati statistici, molti dei quali si riferiscono al settore scuola-istruzione. Che cosa distingue il Suo lavoro dal rapporto della Ausländerbeauftragte?
L’ultimo Integrationsbericht comprende ben 615 pagine delle quali 80 dedicate al tema Bildung. Chi desidera avere i risultati in termini numerici dei processi di socializzazione di persone con retroterra migratorio può leggersi quel volume. Vorrei però riportare quello che ha detto il Prof. Ruud Koopmans, direttore scientifico del Dipartimento Migration, Integration, Transnationalisierung del Wissenschaftszentrum Berlin, in un recente simposio riguardo alle diverse modalità di raccolta e interpretazione di dati statistici. Koopmans ha ammonito che i dati statistici non solo rispecchiano o illustrano la realtà ma creano anche nuove realtà, a secondo dell’interpretazione che a loro si dà. L’intento della mia ricerca non era perciò solo una raccolta ed un’elaborazione di dati statistici, comunque presente nella prima parte dello studio, ma anche di testimonianze di giovani italiani. Si è voluto dar voce ai ragazzi, non più oggetti di studi ma soggetti che riflettono e articolano il loro vissuto, le loro esperienze e i loro desideri. Proprio ricerche a carattere qualitativo possono illuminare i processi, i meccanismi, le cause e i fattori che portano a determinati risultati, mentre i dati statistici ne presentano appunto gli effetti.
Si dice spesso che la situazione dei ragazzi italiani nella scuola tedesca è mediamente disastrosa, per esempio per quanto riguarda l’elevata percentuale di bambini “espulsi” dal sistema scolastico e confinati nella Sonderschule ovvero la bassa percentuale di quanti riescono ad approdare al Gymnasium. Dal suo studio risultano apprezzabili cambiamenti da questo punto di vista?
Si possono notare dei cambiamenti. Per esempio il tasso di ragazzi che frequentano la Hauptschule è sceso dal 60% all’inizio degli anni ’90 al 39% nel 2009, mentre il tasso di alunni nel Gymnasium è passato dal 12,7% al 17,9%. Bisogna comunque aggiungere che il numero minore di ragazzi che frequentano la Hauptschule dipende anche dal fatto che in tanti Länder la Hauptschule è stata abolita e unificata con la Realschule. Purtroppo la percentuale di alunni italiani che frequentano la “scuola differenziale” (Förderschule o Sonderschule) rimane invece invariato sull’8, 5%.
I ragazzi italiani che oggi frequentano la scuola tedesca sono i nipoti e talora i pronipoti della prima generazione di immigrati (quelli degli anni cinquanta-sessanta). Dalle sue ricerche risulta che nel passaggio di 3-4 generazioni si sia verificata una certa mobilità sociale?
Diversi studi indicano che per realizzare una certa mobilità sociale in direzione di maggior capitale culturale e acquisizione di titoli accademici di solito servono due o tre generazioni: per esempio il nonno operaio, il padre tecnico e il figlio ingegnere o la nonna sarta, la mamma responsabile di una filiale di una catena commerciale e la figlia biologa, come abbiamo potuto rilevare dalle interviste. I dati raccolti indicano processi simili anche per gli italiani di Germania. Nel 2007, su 100 ragazzi tedeschi con genitori in possesso di titolo accademico 83 frequentavano l’università, mentre su 100 ragazzi con genitori senza titoli accademici, questa cifra scende a 23. Tenendo conto del milieu di provenienza, il numero fra gli studenti di origine straniera – e questo vale anche per gli italiani – di ragazzi provenienti da un milieu non accademico è molto più elevato che fra gli studenti tedeschi.
Il suo studio comprende una serie di interviste con ragazzi di origine italiana, tutti nati tra il 1978 e il 1993, frequentanti scuole tedesche. In base a quali criteri sono stati selezionati?
Nei testi di metodologia il numero adeguato per un campione di ricerca qualitativa va dalle 20 alle 200 persone, in correlazione naturalmente al tempo a disposizione per la ricerca e per l’interpretazione dei dati. Si deve però prendere in considerazione che a partire da un certo numero di persone intervistate si manifesta un fenomeno per cui oltre un determinato numero di intervistati non vengono più acquisite nuove informazioni e nuovi elementi per la ricerca. Le conoscenze preliminari sul tema hanno permesso di scegliere i casi che sono tipici per un determinato fenomeno. Si tratta perciò di una selezione fondata su determinati criteri (tipo di scuola, genere, milieu della famiglia, regione etc.).
L’intervento finanziario dello stato italiano attraverso gli uffici del Mae per assistere i figli di connazionali all’estero risale agli anni Settanta. Negli ultimi 3-4 decenni si sono spese in Germania somme di denaro ingenti per questa finalità, anche se negli ultimi tempi prevale la tendenza al risparmio. Lei che idea si è fatta di questo intervento? Dove e come potrebbe essere modificato?
Non sono un’esperta che lavora specificamente nel campo della formazione, perciò non posso dare dei giudizi in merito. Certo è incredibile che dopo decenni di studi, programmi, assistenza, ci si ritrovi a ripetere le stesse cose. Potrebbe forse dipendere dal fatto che finora si è guardato solo ai risultati, cioè ai dati statistici e non si è guardato ai processi e alle cause che portano e stanno dietro a questi risultati. Potrebbe anche dipendere dal fatto che questi interventi sono “statici”, forse sviluppati ancora in un ottica paternalistica-assistenzialistica, non corrispondenti più ai bisogni dei giovani, ai cambiamenti avvenuti sia all’interno della comunità italiana, che a livello europeo (mobilità, transnazionalismo).
Si riscontrano differenze significative tra il vari Länder tedeschi per quanto riguarda il tasso di successo scolastico dei ragazzi italiani e della loro integrazione?
Ci sono delle differenze regionali dovute anche ai differenti sistemi scolastici. Per esempio in Baviera e nel Baden-Württemberg il tasso di ragazzi che frequentano la Sonderschule è sul 10% mentre nelle altre regioni si muove fra l’8,3% dell’Assia e il 5% della Bassa Sassonia. Così anche il tasso di ragazzi che frequentano il Gymnasium nelle due Regioni non supera il 20% (Baviera: 18,1%; Baden-Württemberg: 12,4%) Anche nel Nord-Reno Vestfalia il tasso di ragazzi che frequentano il Gymnasium è del 17%, ma nel Land il 26% dei ragazzi frequentano la Gesamtschule. Bisogna comunque aggiungere che la performance scolastica non è ovvero non dovrebbe essere il solo indicatore per valutare il grado di inclusione. Per esempio ci sono testimonianze di ragazzi che hanno frequentato dopo la Hauptschule una Lehre o che la stanno facendo, i quali sono molto “inclusi” e soddisfatti di quello che fanno.
Dalla Sua analisi risulta che il Land Berlino registra una situazione piuttosto positiva con un tasso elevato di successo scolastico. Come si spiega questa fatto?
Berlino rappresenta un caso a sé. Gli scolari italiani a Berlino hanno un tasso molto basso di frequenza nella Förderschule (2,29%) e nella Haupschule (9,6%). Più della metà (50,6 %) frequenta il Gymnasium. Questi dati sono il risultato di un sistema scolastico più permeabile come è quello di Berlino, che prevede dopo sei anni di scuola comune la suddivisione nei diversi rami del livello secondario. Inoltre conta molto la composizione della comunità italiana di Berlino, che ha conosciuto un’immigrazione diversificata, con differenti tipi di migranti caratterizzati da diversi stili di vita e che formano diversi milieu, spesso in possesso di un maggiore capitale culturale.
Può indicare in poche parole quali ricette potrebbero essere messe in campo per un miglioramento sostanziale della situazione? Si dice per esempio che le scuole bilingui o le sezioni bilingui costituiscano la soluzione più idonea ed efficace.
Ritornando al caso di Berlino, non stupisce che già a meta degli anni ’70 fu fondato il primo Asilo Italiano bilingue finanziato dal Senato di Berlino. Nel frattempo esistono a Berlino sei Kindergarten bilingui italo-tedeschi. Inoltre, dal 1992 esiste il progetto delle scuole bilingui Europa-Schulen. In italianotedesco abbiamo una Grundschule, una Realschule ed un Gymnasium. Attraverso progetti bilingui gli alunni sperimentano una rivalutazione delle loro competenze culturali e sociali. Inoltre la cura della cultura d’origine rappresenta un veicolo verso l’inclusione: competenze linguistiche e sociali multiple rappresentano un’ulteriore risorsa e qualificazione che rende i portatori concorrenziali sul mercato del lavoro. Proprio in una società del sapere sempre più confrontata con processi di globalizzazione le competenze bi-culturali giocano un ruolo sempre più importante.