La notizia purtroppo è passata con il silenziatore nella diffusione mediatica, sia in Italia che in Europa. Mi riferisco alla richiesta perentoria fatta dal Presidente Holland, di far nascere entro il 2015 la Federazione degli Stati Europei con un governo unitario votato direttamente dai cittadini, un debito pubblico ed un bilancio comuni, come anche per la linea politica economica, estera e di difesa oltre ad essere dotata di una Banca Centrale nel ruolo di prestatore di ultima istanza.
Ha aggiunto inoltre, anticipando i freni e gli impedimenti che sicuramente saranno messi, che su questa strada la Francia andrà avanti anche senza unanimità di consensi, con i Paesi che ci staranno. Lasciando da parte per un attimo i commenti dei sui detrattori secondo cui l’unico obiettivo del Presidente francese sarebbe quello di traslare sull’Europa i problemi di politica interna che lo sprofondano nei sondaggi, la grande novità si legge nell’abbandono ufficiale da parte di quel Paese, per la prima volta nella sua storia, di una linea votata alla sovranità nazionale ed all’autonomia nei confronti dell’UE.
La Spagna ha prontamente reagito dando il suo pieno appoggio, mentre dall’Italia ancora non è arrivato nessun segnale se non un timido intervento di Letta alle Camere nel quale dice che con l’Europa così com’è non si potrà andare avanti a lungo, senza dare indicazioni se non generiche, per superarla.
Anche se sarà tutta da vedere la possibilità di realizzazione di questo programma senza (per esempio) la Germania, ritengo che il nostro Governo debba aderire immediatamente anche per dare un’accelerazione a quella che ad oggi sembra essere l’unica via d’uscita alla fase di stallo che oltre a generare povertà e disperazione, sta erodendo alla base le fondamenta democratiche delle nostre istituzioni.
Sarebbe un bel modo di andare agli appuntamenti europei con la “schiena dritta” a dirla con le parole del Presidente del Consiglio.
L’altra opzione rimane quella piuttosto “utopica” di uscita dalla moneta unica. Certo è che continuare ad assecondare politiche di contrazione della spesa pubblica e di aumento della pressione fiscale che negli ultimi anni hanno dimostrato di aggravare il rapporto deficit/PIL anziché migliorarlo, non sarà sostenibile a lungo, senza distruggere il tessuto sociale del Paese, ma soprattutto senza offrire nessuna speranza per il futuro.
Diamo uno sguardo per un attimo sull’andamento della spesa pubblica in Italia ed in Europa da fonte EUROSTAT.
Nel periodo 2001-2009 la spesa pubblica in Italia in percentuale al PIL, è stata sempre nella media europea: il 48% a fronte del 46,5% in Europa dal 2001 al 2007; il 48% a fronte del 47% nel 2008 ed il 51,9% a fronte del 50% nel 2009. La Francia ad esempio ha speso di più: il 52% dal 2001 al 2007; il 52,8% nel 2008 ed il 55,6% nel 2009. La Germania si è mantenuta nel medesimo periodo, appena sotto di un punto alla spesa dell’Italia.
La teoria secondo cui i Paesi a debito sovrano più elevato siano più soggetti all’attacco speculativo con conseguente rischio di fallimento, si infrange su realtà come il Giappone che al 220% nel rapporto deficit/PIL ne risulta immune. Ora dovrebbero spiegarci perché escluso la Germania ed i Paesi del c.d. euro 1, tutti gli altri debbano fare i “compiti a casa” se non per perpetuare il rapporto gerarchico che si è instaurato con questa UE.
Gerarchie che dettano le condizioni per il mantenimento di questa unione monetaria e che tenendoci alla corda garantiscono un sostanziale sostegno solo alle imprese di esportazione tedesche che costituiscono la base elettorale dell’attuale governo, facendo galleggiare il Paese sulla crisi.
Non voglio dire con questo che la condizione nella quale ci troviamo sia colpa della politica tedesca.
Certo è che se in Italia avessimo fatto per tempo le riforme necessarie a venire incontro ai nuovi bisogni della società e dell’economia tenendo sotto controllo la spesa, eliminando gli sprechi anziché ignorare la crisi, con governi credibili anche sul piano internazionale, oggi forse non saremmo sotto la minaccia speculativa lanciata dalle stesse banche salvate con denaro pubblico, occupando un posto diverso nella scala gerarchica.
A proposito di banche e gerarchie, è quanto meno singolare, per non dire sospetto il fatto che la BCE metta in campo strategie eccezionali per il rifinanziamento delle banche abbassando per esempio il tasso d’interesse al minimo, senza chiedere nessuna garanzia che le stesse utilizzino l’aiuto per finanziare a loro volta le imprese produttive e quindi la crescita.
La conseguenza – facilmente prevedibile – è che investono invece il denaro – pubblico – ricevuto a basso costo, per realizzare profitti sul mercato speculativo dei titoli di stato sovrani, perpetuando così l’avvitamento della crisi e le minacce di default verso gli Stati che vengono scelti – secondo una strategia mirata – volta per volta.
Luoghi comuni come quello che in Italia il costo della politica fosse responsabile dell’attuale situazione economica, stanno alimentando campagne demagogiche contro il finanziamento pubblico dei partiti, che è l’unico strumento per garantire a tutti le condizioni sufficienti per fare politica, evitando che dopo quasi un secolo torni ad essere appannaggio dei soli ricchi.
Basti pensare che da fonte Ministero delle Finanze, nel 2013 gli importi erogati per il finanziamento ai partiti italiani, saranno inferiori a quelli occorrenti per i partiti tedeschi. Il vero problema da affrontare riguarda allora l’equità e la legittimazione del sistema, piuttosto che la contabilità, pur rimanendo valido il concetto che una razionalizzazione della spesa per evitare gli sprechi, anche in questo caso vada fatta.
Il dato contabile rilevante resta invece quello dei contributi versati al bilancio generale di questa UE, che da fonte Ragioneria Generale dello Stato, risultano essere di gran lunga superiori di quanto riceve, essendo da anni l’Italia contributore netto del bilancio europeo.
Tutto questo genera una situazione di smarrimento nella società, giocando a favore di chi lancia giornalmente facili messaggi populisti ed antieuropeisti, cavalcando il malcontento generale e la propensione degli italiani a considerare lo Stato ed i suoi presidi democratici, come un nemico da combattere.
Ecco perché l’iniziativa lanciata da Holland, che ricorda quella di Alexander Hamilton quando alla fine della guerra d’indipendenza americana permise di mettere in comune i debiti dei primi 13 Stati più o meno virtuosi facendo nascere la prima vera Unione Federale contro le resistenze dei vari Jefferson e Madison, va colta senza indugi dal nostro Governo.
Aderire a questo progetto significa porre la questione al centro del dibattito politico che si svilupperà per le prossime elezioni europee e nazionali, anche tedesche, ma soprattutto dare uno sbocco all’impegno di quanti tengono a preservare i valori democratici su cui fonda la nostra Costituzione, messi al momento duramente alla prova.