Scontata la reazione dei parenti delle vittime della Eternit. Tutto si aspetta-vano, tranne il nulla derivato dalla decadenza del processo a Stephan Ernest Schmidheiny, il magnate svizzero originario del cantone San Gallo, titolare della suddetta ditta e condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato in Italia dall’amianto usato nei suoi stabilimenti.
Questo minerale veniva utilizzato nell’edilizia nella costruzione di materiale copertura, ma essendo estremamente nocivo per la salute umana ed ambientale, venne vietato nella maggior parte dei Paesi europei, Svizzera compresa dove, dal 1986, Schmidheiny ne fece terminare l’uso. Che invece, nella nostra Penisola, continuò fino al 1994, comportando così migliaia di de-cessi nelle città dove esistevano gli stabilimenti, cioè tra Priolo Gargallo ed Augusta in Sicilia, a Casale Monferrato, Cavagnolo (Torino), Broni (Pavia) e Bari.
Il processo contro il titolare della ditta e l’ex direttore dell’azienda nel capo-luogo piemontese, Louis De Cartier de Marchienne, iniziato il 13 febbraio 2012, si basava sull’accusa di “disastro doloso per l’inquinamento e la disper-sione nell’ambiente delle fibre di amianto ed omissione volontaria di cautele antinfortunistiche”. Il procuratore Raffaele Guariniello aveva chiesto 20 anni di reclusione, il Tribunale, invece, li condannò per "disastro ambientale perma-nente" e per "omissione volontaria di cautele antinfortunistiche", a solo 16 an-ni, obbligandoli a risarcire i 3.000 parenti delle vittime. Nel 2013, in Appello, la pena fu di 18 anni. Una condanna che difficilmente gli imputati avrebbero po-tuto scontare totalmente, causa l’età avanzata (infatti De Cartier morì nel 2013), ma che poteva comunque costituire un importante precedente per altri processi di analoga natura. Purtroppo, invece, finito nel nulla a causa della prescrizione durante il processo in Cassazione.
Un po’ per colpa di ritardi giudiziari e del nostro sistema giuridico che vanta, tra i pochi al mondo, ben tre gradi di giudizio. Ma anche per effetto della legge del dicembre 2005, la cosiddetta ex-Cirielli, che ha accorciato i termini di prescrizione, facendoli dipen-dere dal massimo della pena stabilita dalla legge per i reati penali, tranne quelli per i quali è prevista la condanna all’ergastolo, cioè per omicidi plurimi. Come successo a causa dell’uso dell’amianto. Avranno anche ragione coloro che ora reclamano una modifica del suddetto testo legislativo che, in effetti, comporta ogni anno l’annullamento di 100 mila cause, mentre sarebbe più equo prevedere una procedura giudiziaria che si accontenti di due soli gradi di giudizio, come contemplato negli altri Paesi europei.
Si dichiara convinto di ciò il presidente del Senato, Pietro Grasso, secondo il quale serve una riforma della giustizia in quanto “ora e‘ successo un fatto che ha scosso le coscienze ed oggi tutti gridiamo “alla necessità di fare al più presto … la riforma della giustizia…che aspetto da vent’anni…e dovrebbe prevedere l’imprescrittibilità di un reato come il disastro ambientale”, il cui di-segno di legge è impantanato da mesi al Senato. Non a caso la Commissione europea, il 3 febbraio scorso ha rinnovato il richiamo, già prima espresso, ad evitare che ci siano “troppi corrotti impuniti”. Anche perché i processi che si chiudono con la prescrizione sono una sconfitta per lo Stato, per le vittime, che non vedono riconosciuti i propri diritti, e per l’eventuale innocente, ingiu-stamente accusato, al quale l’assoluzione dovrebbe essere stabilita dai giudici.
Ma che, invece, si trasforma in vittoria dei tanti colpevoli che, puntando sul colpo di spugna finale, percorrono tutti i gradi di giudizio, in ciò aiutati dagli av-vocati ben remunerati. Come ha fatto l’imprenditore Schmidheiny, stimato in Svizzera per numerose opere di beneficenza eseguite, ma tanto sicuro di cavarsela da non presenziare mai alle udienze giudiziarie e da proclamare, a prescrizione arri-vata, di essere “stato perseguitato, ma finalmente assolto”. Indifferente alla sofferenza dei parenti delle vittime e all’evidente spreco di uomini e soldi dovu-to ai 3 gradi di giudizio. Quel dispendio che nel 2007 Prodi aveva cercato di annullare con un disegno di legge mirante ad allungare i tempi di prescrizione ed a stabilire che essa cessasse in caso di condanna in Appello.
Purtroppo, però, il suo Governo decadde prima dell’approvazione definitiva. Comprensibile, quindi, lo sconcerto e la rabbia dei familiari dei defunti i quali non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia e continuano a farlo, forse ignorando che l’errore principale fu commesso da chi aprì a Torino il processo, accusando il titolare dell’Eternit di “disastro ambientale”, non di omicidio plurimo. Scrivendo così un’ulteriore pessima pagina della storia della magistratura italiana su cui tutti dovrebbero riflettere in modo accurato e approfondito. Ne consegue che pensare di risanare i mali della Magistratura modificando le norme sulla prescrizione non basta. Perché una Giustizia che sbaglia diventa ingiustizia.