Il Cgie è un organo consultivo eletto tra gli italiani all’estero (in secondo mandato dopüo i Comites). Questa legislatura si avvia alla sua conclusione dopo dieci: il doppio di quelli preventivati perché l’Amministrazione non ha permesso, come nel caso dei Comites, nuove elezioni. L’atmosfera alla Farnesina non è delle migliori: più dimessa. A parte le dichiarazioni roboanti di chi ha interessi da difendere o organizzazioni da rappresentare, le opinioni non sono esaltanti. Molti mancano: sono morti nel frattempo. Tutti sono invecchiati. Chiediamo un bilancio di questi dieci anni ad alcuni tra coloro che sono rimasti un po’ più in disparte, ma che hanno mantenuto le loro opinioni e non si sentono in dovere di recitare a memoria la poesia del buon militante, o ad alcuni tra coloro che hanno avuto più di altri comunque il coraggio, di rimanere sé stessi.
Luciano Neri. (Italia)
Rispetto alla radicalità dei cambiamenti necessari ed in parte in atto nella società italiana, il Cgie purtroppo non è percepito, e non è e nella realtà, molto diverso da qualsiasi apparato che resiste al cambiamento nella illusione di poter mantenere le cose come stanno. Il Cgie di oggi non rappresenta l’emigrazione italiana nel mondo che ha caratteristiche professionali, culturali, demografiche completamente diverse da quelle dell’emigrazione di decenni fa, per intendersi dell’era tremagliana, della quale questo Cgie è purtroppo espressione. Il problema sia per i Comites che per il Cgie, così come per il Ministero degli Esteri che per gli Istituti di Cultura non è qualche componente in più o in meno, o una seduta annuale in più o in meno. Il problema è il ruolo, le funzioni e la capacità di svolgerle con concretezza e dinamismo in un quadro nazionale ed internazionale in rapida evoluzione.
Nazzareno Mollicone (Italia)
All’inizio c’era molto impegno sui problemi concreti, che venivano trattati con impegno, competenza e determinazione. C’era anche una maggiore attenzione da parte delle controparti di governo e ministero. Sono state realizzate iniziative innovative, come l’assemblea dei giovani del 2008. Successivamente è venuta meno l’attenzione dei governi, anche con il progressivo ridimensionamento delle figure istituzionali preposte alle competenze per gli italiani nel mondo (siamo passati da un ministro, a un viceministro, a un sottosegretario fino alle attuali figure di incerta denominazione). Non bisogna però dimenticare il fatto che nel frattempo è cambiata l’emigrazione italiana e forse il Cgie,per la sua storia e composizione, non ha saputo interpretarla con concretezza.
Renzo Losi (Gran Bretagna)
Il Cgie ha lavorato senz’altro con impegno e serietà ma forse dovevamo prenderci troppo sul serio, consapevoli che il nostro ruolo era unicamente un ruolo consultivo e propositivo, ma mai deliberativo. Molte battaglie fatte sui tre punti fondamentali che interessano le comunità, cioè servizi consolari, scuola e cultura e rappresentanza, hanno segnato in modo vistoso il passo avendo come conseguenza un deterioramento su tutti questi fronti a causa dei drammatici tagli di natura finanziaria e non, che hanno portato le nostre comunità a pensare che almeno in Europa non bisogna più aspettarsi la soluzione dei problemi dall’Italia, ma dai Paesi ospiti. D’altronde gli italiani in giro per l’Europa hanno continuato ad integrarsi in loco e a risolvere i loro problemi da soli.
Valter Della Nebbia. (Stati Uniti)
Il Cgie è un ottimo strumento male utilizzato. Bloccato per 10 anni in una ottica partitica. Bisogna rendere meno influente la parte governativa dell’organismo. Non siamo riusciti a portare avanti l’immagine della italianità nel mondo. Nel caso noi sparissimo, nessuno se ne accorgerebbe, perché in Italia non rappresentiamo nessuno e nessuno si interessa di noi.
Giorgio Mauro (Olanda)
Una occasione perduta. Avevamo un potenziale per giungere a collegamenti istituzionali proficui e ci siamo fatti coinvolgere in un percorso di comode condiscendenze. Il nostro scopo primario era riformare e attualizzare i Comites per adattarli alle nuove caratteristiche della emigrazione. Forse abbiamo fatto poco, e infatti non ci siamo riusciti, ma va detto anche che è mancato completamente il supporto istituzionale, a cominciare da quello dell’Amministrazione, fino a quello del Parlamento.
Anna Ruedeberg Pompei (Svizzera)
L’entusiasmo iniziale è andato rapidamente scemando. Da segretario deluso della quarta Commissione, pur rimpiangendo il contatto con il suo presidente, padre Graziano Tassello, con cui comunque rapporti continui, ho preferito adoperarmi in modo il più possibile concreto nella rappresentanza di quelle poche donne all’interno del Cgie e nella formazione della Commissione Salute. Sono argomenti periferici che poco hanno potuto interferire o partecipare al decorso passivo e senescente del Cgie. Pochi i momenti produttivi, come ad esempio quello della Conferenza dei giovani. Spesso abbiamo perso tempo. Auguro al prossimo ed indispensabile Cgie, molti giovani e donne.
Rodolfo Ricci (Italia)
Oltre al problema derivante da mancato rinnovo dell’organismo, giustificata con insostenibili questioni finanziarie, la congiuntura negativa di cui ha sofferto questa gestione del Cgie è da farsi risalire alla contemporanea (2006) elezione dei parlamentari all’estero. Nel senso che ha prevalso anche in un organismo che doveva essere di rappresentanza sociale, un approccio determinato essenzialmente dai partiti. E’ venuta a mancare una funzione specifica del Cgie (come prevista dalla legge istitutiva) che avrebbe dovuto essere di interlocuzione anche critica con gli altri momenti di rappresentanza, o quantomeno questa funzione non è stata svolta in modo ottimale. Ciò ha anche comportato a volte una eccessiva accettazione dei tagli dei tagli e di ciò che i governi hanno fatto in questi anni di crisi. Io avrei auspicato invece una forte e chiara opposizione a tagli che si sono realizzati soltanto in questo settore.
Silvana Mangione (Stati Uniti)
10 anni di luci ed ombre: la preparazione in tutti i Paesi e in tutti i continenti della prima conferenza mondiale dei giovani è uno dei momenti più gloriosi della vita del Cgie, che l’ha voluta e finanziata rinunciando ad alcune proprie riunioni. Lo svolgimento della conferenza e i documenti dei giovani avevano aperto una prospettiva entusiasmante per un nuovo possibile dialogo tra italiani all’estero e Italia, ma i governi che si sono susseguiti non hanno tenuto fede ad alcuna delle promesse fatte. Il Cgie ha portato avanti un approfondimento serio di tutti i temi che riguardano le collettività, presentando documenti propositivi che avrebbero cambiato in meglio la proiezione internazionale del sistema Italia in materia di promozione della lingua e della cultura italiana, di internazionalizzazione degli scambi commerciali, culturali, scientifici, garantendo grandi benefici al Paese. Alcune di queste sintesi sono ancora validissime e nel ritrovato contatto costruttivo anche con i parlamentari eletti all’estero, il Cgie può una volta di più rivelarsi il migliore e meno costoso consulente esterno.