Con l’accordo di compromesso raggiunto in luglio tra il gruppo Vw e le autorità americane dell’Ambiente era sembrato che lo scandalo del “dieselgate” fosse ormai avviato a conclusione negli Usa e di riflesso anche in Europa. Non è però così e Matthias Mueller, amministratore delegato (ad) del grande gruppo automobilistico di Wolfsburg, si sta accorgendo di aver fatto i conti senza l’oste. Charles Breyer, il severo giudice americano di San Francisco che ha il compito di portare a termine la complicata vertenza, ha, infatti, deciso che la Volkswagen al più tardi entro il 24 ottobre dovrà aver presentato all’EPA – le autorità ambientali Usa – il progetto di modifica del motore diesel di 3 litri di cilindrata che equipaggia circa 85mila auto Touareg, Audi e Porsche in circolazione negli Stati americani.
Il compromesso sui valori manipolati di emissione dei gas di scarico raggiunto dalla Volkswagen pagando una somma complessiva di 15,3 miliardi di dollari vale, di fatto, soltanto per circa 480.000 veicoli diesel VW con motore di 2 litri immatricolati in Usa ma non per quelli di maggior cilindrata per i quali il gruppo di Wolfsburg non ha ancora potuto presentare una versione in grado di rispettare credibilmente le norme ambientali americane, molto più severe di quelle europee. E’ chiaro che qualora che ciò non fosse possibile, le vetture in questione dovranno essere escluse dalla circolazione.
A parte questo problema – che secondo gli esperti non sarà di facile soluzione, perché le modifiche ecologiche al motore da 3 litri non dovranno apportare pregiudicare sostanzialmente le prestazioni delle vetture – il gruppo Volkswagen nei prossimi mesi dovrà raggiungere altri due importanti accordi. Uno con i circa 650 concessionari della rete di distribuzione Vw negli Usa (si parla di un risarcimento attorno a 1,2 miliardi di dollari) e l’altro, nell’ordine di milioni di dollari, con le amministrazioni di quattro Stati americani che hanno chiesto un risarcimento dei danni ambientali causati negli ultimi dieci anni dalle automobili incriminate di marca Vw Audi e Porsche.
Un accordo previsto non prima di novembre con contenuti ancora molto incerti, perché fino a quella data il procuratore Charles Breyer potrebbe essere riuscito a mettere definitivamente le mani sulle prove del concreto coinvolgimento dell’ad Mueller e degli altri dirigenti del gruppo nella decisione di produrre in serie i motori diesel del gruppo Volkswagen con l’illegale software Bosch. Un congegno molto sofisticato che agli ufficiali collaudi attestava emissioni di gas di scarico nel pieno rispetto delle norme ambientali, ma che nel normale traffico produceva un inquinamento molto superiore al consentito.
Pericolosa illusione
Il fatto è che il vertice di Wolfsburg continua a pensare che tutto ciò possa restare limitato agli Usa e a qualche altro Paese e non abbia ripercussioni sui mercati europei dove, a quanto pare, la VW pensa di risolvere il problema con un piccolo facile e poco costoso intervento ai motori. Non sarà così e lo si è capito quando prima delle ferie estive il commissario Ue all’Industria e al Mercato Elzbieta Bienkowska ha dichiarato che “ la Volkswagen dovrebbe pagare una compensazione volontaria ai proprietari europei delle loro automobili” i quali non possono essere trattati come clienti di seconda classe rispetto ai loro colleghi americani.
In altre parole, anche nei mercati europei la casa automobilistica di Wolfsburg con tutta probabilità non potrà limitarsi a sostituire qualche aggregato dei suoi motori diesel senza pagare ai loro proprietari un adeguato risarcimento com’è costretta a fare negli Usa.
Il gioco che la Volkswagen ha deciso di condurre in Europa è molto pericoloso perché nel momento stesso in cui dovessero affiorare prove definitive sul coinvolgimento del suo vertice – secondo la versione ufficiale mai stato al corrente dell’illegale software – il danno per le finanze e per l’immagine del gruppo che ne conseguirebbe assumerebbe una dimensione incalcolabile. Tutto ciò però non basta: per un quadro completo della difficile situazione in cui il gruppo di Wolfsburg si è cacciato, alle considerazioni sin qui elencate vanno aggiunte anche altre difficoltà.
La prima è l’ondata delle class action avviate dai vari gruppi degli azionisti privati e anche da alcuni Laender tedeschi, decisi a chiedere un risarcimento per le perdite subite nel 2015 in seguito al crollo in borsa della quotazione del titolo VW. La seconda sono le difficoltà emerse sull’importantissimo mercato della componentistica dell’automobile con una Volkswagen che da produttore di auto è andata trasformandosi sempre più in un assemblatore di componenti forniti da un’industria sempre meno disposta ad accettare l’atteggiamento arrogante dei manager di Wolfsburg.