Il nuovo presidente americano Trump durante il G7 di Taormina ha sollevato un notevole polverone con le sue dichiarazioni sull’egoismo economico della Germania, paese con il quale gli Usa nel 2016 hanno accumulato un deficit commerciale di circa 65 miliardi di dollari.

La maggior parte del deficit Usa nell’interscambio con la Germania viene dal comparto dell’auto nel quale VW, Daimler e Bmw vantano un volume di export di 29,5 miliardi di euro, che è esattamente quattro volte superiore all’import tedesco di auto americane Chrysler, Ford e General Motors.

Non è la prima volta che Washington lamenta lo squilibrio dell’interscambio tedesco-americano, ma lo slogan ora rilanciato dal presidente Trump “America first” non è privo di giustificazione e anche di una certa suggestione.

In sostanza quando Trump lamenta che gli americani comperano troppe auto tedesche allude un po’ anche alla scorretta propaganda del “diesel pulito” grazie alla quale VW & Co fino al 2015 sono riusciti a aumentare le loro vendite negli USA, decisamente diminuite ora dopo l’ammissione della grave frode ambientale dell’industria automobilistica tedesca.

Il riconoscimento dell’imbroglio ha però soltanto temporaneamente messo la sordina all’apparato propagandistico dell’industria tedesca perché in realtà a Wolfsburg, Stoccarda e Monaco si continua a pensare che il problema dello squilibrio dell’interscambio automobilistico non sono quanto le molte auto tedesche vendute negli Usa bensì le molte auto americane che non riescono a trovare un acquirente in Germania.

Alla fine si è sostanzialmente alle prese con il problema della superiorità tecnologica, vera o supposta che sia, del “made in Germany” almeno fino a quando l’auto perderà parte, in un processo già in atto, del suo valore d’indiviabile “status symbol”.

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