Libro
Il libro "I vostri diritti in Germania" ©Archivio personale di A. Bellardita

Intervista ad Alessandro Bellardita, giudice e docente, che ha recentemente pubblicato “I vostri diritti in Germania”, (Editore tredition.de), libro che raccoglie gli articoli apparsi sul Corriere d’Italia con cui collabora da anni.

Da dove nasce l’idea di questo libro? A chi si rivolge?

Quando si parla di diritto lo si fa con un linguaggio tecnico in parte dovuto alla difficoltà della materia. Ho scritto questo libro con la testa di un giurista e la penna di un giornalista. L’ho fatto perché informare gli italiani sui loro diritti in Germania non lo si può fare solo con degli articoli e in questo senso non esiste un volume di questo tipo. È una forma di vademecum che tratta di famiglia, lavoro, abitazione, i diritti dei consumatori, tutto ciò che riguarda l’essere cittadino qui in Germania. Si trovano esempi concreti e metto a disposizione delle lettere esemplari in tedesco, in modo che il lettore cambiando qualche parolina, le possa concretamente utilizzare.

Il libro comincia dalla Costituzione. Perché è importante dare l’orizzonte giuridico della Carta fondamentale?

Perché è la base di una società e l’anima di una nazione. Capire la Costituzione significa capire la cultura giuridica di un popolo, di una nazione e rende consapevoli di che cosa significa essere cittadini di quello stato. Faccio un esempio che riguarda noi italiani, per ricalcare la differenza fra Italia e Germania. L’articolo uno della Costituzione italiana, come ben sappiamo, comincia affermando che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro. Ma perché “fondata sul lavoro”? Dopo la Seconda guerra mondiale i partiti che facevano parte della Costituente hanno voluto dare un’impronta concreta alla nascente Repubblica, facendo partecipi tutti i cittadini che, con il loro lavoro, sono a fondamento della Repubblica italiana.

La Costituente trovò facilmente l’accordo su questa definizione?

I partiti di sinistra volevano la formula Repubblica italiana fondata sui lavoratori, ma infine prevalse la proposta di Aldo Moro che parlava di lavoro e non di lavoratori. In Germania invece l’articolo uno della Costituzione tedesca recita: “La dignità dell’uomo è inviolabile”. La Costituzione tedesca, entrata in vigore nel 1949, un anno dopo quella italiana, (1949), esce anch’essa dalla Seconda guerra mondiale dove la dignità dell’uomo fu calpestata e violata.

Come si arrivò nella Repubblica federale tedesca a questo articolo fondamentale?

Ci fu uno scritto del ’42 di Hannah Arendt, (filosofa, teorica politica, ebrea tedesca che riuscì a sottrarsi alla Germania nazista prima a Parigi e poi negli Stati Uniti, n.d.r.) in cui chiedeva “a che cosa serve la dignità umana se non c’è uno stato che la tuteli?”, rivoluzionando la definizione di dignità umana. Fino a quel momento la maggior parte dei giuristi tedeschi si rifaceva alla definizione del filosofo Immanuel Kant che recitava “il valore dell’uomo è inerente alla natura dell’uomo grazie alla sua nascita”. È un valore assoluto, indipendente dalla confessione religiosa, dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale. È una bellissima formula ma se non c’è uno stato che tuteli questa dignità umana, non serve a niente. La definizione di Arendt invece dice “La dignità umana è il diritto ad avere diritti”. Questo scritto arrivò ad Adolf Süsterhenn, cattolico renano, membro della Costituente tedesca, il quale comprese l’importanza di impostare l’articolo uno sulla dignità umana”. Infatti la bozza precedente formulava l’articolo in maniera diversa e diceva chel’uomo non esiste grazie allo stato ma è lo stato che esiste grazie all’uomo. Questa formula in realtà non dice che cosa deve fare lo stato, cioè rispettare l’uomo. Sulla proposta di inviolabilità della dignità dell’uomo ci fu consenso e fu sancita nell’articolo uno. Poi è lo stato a conservarla e a tutelarla.

Come formulerebbe un giurista italiano la dignità dell’uomo?

Questa domanda fu posta a Giovanni Falcone che disse: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere costi quel che costi, uguale quale sia il sacrificio da compiere perché in questo sta l’essenza della dignità umana”. Questa risposta, il collegamento fra la dignità umana e la lavoro, o dignità umana e dovere, un giurista tedesco non la darebbe mai, pensiamo alla scritta all’ingresso dei campi di concentramento “Arbeit macht frei”. Per un giurista tedesco la dignità umana non ha nulla a che vedere con il lavoro.


Dopo Mannheim, Friburgo, Colonia, Düsseldorf, e Essen,
Alessandro Bellardita sarà a:

15.10.2021 Monaco di Baviera, ore 19:00 Com.It.Es,
Hermann-Schmid-Strasse 8 (U-Bahn Goetheplatz)

19.10.2021 Stoccarda (Vahingen), ore 19:00 nella sala del Gemeindezentrum Christus König (Cristo Re)
Fanny-Leicht-Str. 27, 70563 Stuttgart-Vaihingen.
Organizzano le ACLI Baden-Württemberg, l’Istituto di Cultura di Stoccarda e la Missione Cattolica.

12.11.2021 Heidelberg, ore 19:00, Italienzentrum (Romanisches Seminar). Organizza l’associazione Volare e. V.

03.12 Karlsruhe, Deutsch-Italienische Gesellschaft

Francoforte (data ancora da stabilire)


Tutto l’ordinamento giuridico tedesco è impostato sulla dignità umana, mentre quello italiano è impostato molto di più sul lavoro e sul diritto del lavoro. Per esempio noi, in Germania, abbiamo la concezione che il lavoro c’è e ci deve essere, ma che se anche non ci fosse, c’è lo stato che ti dà quello che ti serve. C’è questo diritto universale a un sistema di sussistenza che in Italia non c’è. La legge italiana sul reddito di cittadinanza è arrivata dopo tantissime discussioni ed è una legge molto ridimensionata rispetto alle idee e ai progetti che c’erano stati prima. In Italia quello che chiamiamo materasso sociale è la famiglia. Infatti nell’ordinamento italiano del diritto di famiglia ci sono istituzioni che tutelano la famiglia, mentre in Germania c’è il servizio dei jobcenter.

Con il primo articolo le due Costituzioni, quella italiana e tedesca, hanno impostato le nascenti repubbliche democratiche restituendo anche l’orizzonte storico da cui provengono. Nel suo libro affronta diverse tematiche, il lavoro, la casa e il cittadino consumatore. Sembra che la prospettiva giuridica tedesca, con la consapevolezza dei diritti del cittadino e di una ben fondata cultura civica emerga molto bene nel capitolo sul cittadino consumatore?

Assolutamente sì. Come diceva Zygmunt Baumann, consumo dunque sono, “Ich schoppe also bin ich”. Oggi abbiamo un impianto enorme di Verbraucherrecht, di diritto dei consumatori, cosa molto importante perché ciascuno di noi ogni giorno è un consumatore. La stragrande maggioranza dei diritti dei consumatori vengono dalle direttive europee, le prime risalgono agli anni ’90, e che poi sono state recepite nel diritto nazionale. Forse è il capitolo più europeo che ho scritto perché quei diritti esistono anche in Italia, in Francia, in Portogallo, in Spagna, ovunque in Europa.

Alla fine del libro fa un appello a imparare la lingua tedesca. Perché c’è così bisogno di metterlo in risalto?

Perché essere cittadini significa essere consapevoli dei propri diritti ma anche dei propri doveri. Perché non si può parlare di diritti senza parlare automaticamente di doveri. È doveroso imparare la lingua del paese in cui si vive, perché la lingua è fondamentale anche per dare voce ai diritti che si hanno. Perché una cosa è avere un diritto, un’altra cosa è farlo valere. Vorrei fare un esempio. Mio nonno materno è arrivato qui negli anni ’60 e lavorava in una fabbrica chimica a Mannheim. Per portare tutta la famiglia a Mannheim aveva bisogno di un appartamento, lui viveva in una baracca. In quel periodo già era difficile trovare un appartamento da italiano, ma quando i tedeschi poi intuivano che ad abitare in quell’appartamento sarebbero stati in cinque in sei o anche in sette, diventavano ancora più scettici. A mio nonno non venne l’idea di rivolgersi a una istituzione sociale per far valere i suoi diritti. E come si fa a formulare questo diritto se non si conosce la lingua? Se non si conosce la lingua si hanno i diritti ma non si possono far valere. L’unica cosa che posso dire quindi è di impararla e poi si vive molto meglio.

È nonno Vincenzo al quale ha dedicato il libro?

Sì, è la prima persona che mi ha avvicinato al mondo della giustizia senza volerlo. Quando si trovava a Mannheim, una notte un suo amico, Carmelo, fu perquisito dalla polizia e trovarono sotto il suo materasso delle autoradio. Di notte, Carmelo, calabrese, faceva delle lunghissime passeggiate e andava a rubare le autoradio. Giocava a carte e perdeva tutto quello che guadagnava in fabbrica, quindi per recuperare i soldi che perdeva al gioco andava a rubare. Lo arrestarono, lo processarono e lo espatriarono e non si seppe più nulla di lui. Quando mio nonno mi raccontò a dodici anni questa storia fu per me il primo impatto con la giustizia e mi ripeteva “non giocare a carte”! (Alessandro Bellardita, sorride, n.d.r.).

Parlando di diritti e doveri dei cittadini, come italiani all’estero siamo chiamati a votare per il rinnovo dei Comites, gli organismi degli italiani all’estero. Quanto è importante questo voto?

Il voto resta sempre un’espressione di libertà e di democrazia. Possiamo discutere sulla modernità dell’istituzione Comites, in una Europa unita può sembrare anacronistico, ma ci sono Comites che fanno un lavoro straordinario e quindi è giusto che continuino a esserci. Sono critico per come hanno complicato la possibilità di far esercitare il diritto di voto.

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