Foto: Mahmood - ©Eurovision Song Contest

Premio Eurovisione ed „euriginalità“

Fin dal medioevo i Paesi Bassi hanno avuto un rapporto strettissimo con l’Inghilterra, così che l’inglese è la seconda lingua per ogni olandese. Perciò è naturale che il vincitore del primo premio della canzone eurovisiva Eurovision Song Contest, l’introvertito e gentile Duncan de Moor, in arte Duncan Laurence, abbia cantato la sua bella canzone in inglese, stando seduto al piano da solo e senza ballerini: il meno è più. Ma è altrettanto naturale che abbiano cantato in inglese pure i cantanti della Russia, dell’Azerbajgian, della Slovenia e della Finlandia? Perfino la canzone francese (incredibile ma vero!) ha rinunciato almeno in parte all’idioma nazionale, esibendosi in un insulso

misch-masch anglofrancese del tipo „je suis free“ e qualificandosi così per il 14. posto. L’uso di una lingua unica internazionale è perfettamente giustificato quando si tratta di pubblicazioni scientifiche o di contratti internazionali, ma non di creazioni artistiche; a meno che dietro le prima ci siano altri interessi prevalenti. E dietro questo perverso fenomeno ci sono gli interessi delle case discografiche.

Desidero mettere in chiaro di non avere nulla contro la lingua inglese come tale, ma contro la sua invadenza che rischia di trasformare ogni espressione artistica in una prevedibile monotonia. La bellezza d’un festival internazionale consiste proprio nella varietà delle diverse nazioni partecipanti.

Ogni lingua ha una sua speciale ricchezza fonetica che può essere esaltata attraverso il canto.

Peccato ad esempio che la canzone ceca „Friend Of A Friend“ cantata dal complesso Lake Malawi, e che ha conquistato l’11mo posto, con il suo un inglese posticcio ci abbia privato dei fonemi caratteristici del ceco che si ascoltano nei vicoli di Praga e che hanno ispirato grandi compositori come Smetana, Dvořák e Janáček.

Anche il turco è una lingua foneticamente assai ricca, con i suoi suoni talora fluidi, talora velati, perciò ci rincresce che a privarcene sia stato nientemeno che il grande Erdoğan in persona, il quale a partire dal 2014 ha ritirato dimostrativamente il „suo“ paese dal festival, e da allora lo boicotta: per protesta contro la cantante transessuale Conchita Wurst. Che ha fatto una sua riapparizione in pompa magna come ospite d’onore assieme ad altri vincitori delle passate edizioni. Il suo successo deve rappresentare un oltraggio insopportabile, una „spina nell’occhio“ come dicono i tedeschi, per il premier turco la cui moglie, come tutti sanno, usa esibire in pubblico il velo anziché la barba.

Anche Putin, a suo tempo, fu oltremodo disturbato dall’apparizione dell’androgina cantante, ma espresse la sua ferma condanna senza comminare sanzioni. Così la Russia ha partecipato al gran finale classificandosi con onore al terzo posto con il veterano Sergey Lazarev che cantava, purtroppo in inglese, il suo tardomelodico „Scream“ sotto rivoli di pioggia digitale.

Bisogna quindi elogiare quei cantanti che hanno avuto il coraggio di cantare nella loro lingua nazionale, e che non erano molti. Primo fa tutti il nostro Mahmood che si è affermato con il suo italianissimo „Soldi“ conquistando il meritatissimo secondo posto. Grazie a questo figlio di un immigrato, l’Italia ha raggiunto un’affermazione come poche nella sessantennale storia di questo festival. Di fronte a ciò, appaiono meschine, ipocrite e gonfiate le polemiche seguite alla sua vittoria a Sanremo, e riprese pure dalla stampa non italiana. Forse proprio per questo la giuria tedesca ha assegnato i suoi 12 punti al nostro paese.

Ai campioni della madrelingua aggiungiamo anche il brillante Miki che con „La Venda“ spagnola è arrivato al 22. posto. Ma sono state le nazioni più piccole a mostrare il coraggio della loro lingua originale: gli islandesi Hatari con l’aspro accento vikingo di „Hatrið mun sigra“ (10. posto), la cantante serba Nevena Božović con „Kruna“ (17. posto) e la cantante albanese Jonida Maliqi con la nostalgica „Ktheju todës“ (18. posto). Fuori del comune è la canzone slovena „Sebi“, semplice e spontanea, eseguita in una specie di duettino intimo vocale-strumentale da Zala Kralj e Gašper Šanti, che ha conquistato il 13. posto. Molto interessante anche il tentativo di integrare la lingua sami, originale dei popoli più settentrionali del continente, detti anche Lapponi, da parte del terzetto norvegese KeiiMO (5. posto). La danese Leonora ha inserito nella sua fintamente ingenua canzonetta „Love ist Forever“ anche delle strofe in danese ed in francese, e si è classificata al 12. posto. Fallimentare invece la leziosa canzonetta tedesca „Sisters“, cantata integralmente in un teutonico inglese da Carlotta e Laurita, e che si è ben meritata il terzultimo posto e zero punti dal pubblico. E l’ultimo, 26mo posto, è toccato proprio all’orgogliosa isola di madrelingua inglese.

L’ultimissimo posto fuori concorso, però, è toccato proprio a Colei che era stata ufficialmente presentata come „la più grande star del mondo“: Madonna!!!… Stiamo vivendo un’epoca in cui tanti miti americani si sgonfiano inesorabilmente: e così pure Madonna si è sgonfiata davanti a 200 milioni di telespettatori. La superstar da oltre 1 milione di dollari d’ingaggio ha cantato di gran lunga peggio di tutti gli altri colleghi, sorprendendo il pubblico con la sua intonazione malferma come se per qualche motivo avesse il fiato corto. Al termine della peggiore figuraccia della sua carriera, molti spettatori si sono guardati perplessi pensando, probabilmente, „Madonnina mia“.

Così, una settimana prima delle elezioni europee abbiamo realizzato questa profonda verità: noi europei cantiamo meglio degli americani…

Un altro incidente rilevante, che subito si è cercato di minimizzare e di passare sotto imbarazzato silenzio, ahem, è stato quando gli islandesi hanno innalzato a sorpresa i vessilli palestinesi davanti alle telecamere che li stavano inquadrando secondo il loro turno. Ad arrabbiarsi a questo punto sarà toccato al premier israeliano Netanyahu, e c’è da temere che ai bravi Hatari non sarà mai più concesso il visto d’ingresso per Israele. Un’altra panne si è palesata con quattro giorni di ritardo ed ha avuto l’effetto di far scivolare le sorelle tedesche dal terzultimo al penultimo posto. Motivo: la giuria bielorussa aveva violato la segretezza del voto prescritta dal regolamento, ed i suoi punti sono stati annullati.

Malgrado tutti gli imprevisti, bisogna in fondo riconoscere che l’ESC 2019 da Tel Aviv è risultato uno spettacolo grandioso come pochi, ricco, vario e fastoso. Il contributo più creativo ed impressionante dello spettacolo è stato quello visivo, a dimostrazione che la tecnologia non è principalmente opposta alla fantasia. Su di un palcoscenico altamente digitalizzato si è susseguita un’orgia di immagini digitali brillanti e sorprendenti, e per uno spettatore seguire tutti gli effetti spettacolari era un gioco spesso più affascinante che non seguire la musica stessa.

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