Nella foto : Federico II e il suo falco. Dal libro De arte venandi cum avibus (L’arte della caccia con gli uccelli). Da un manoscritto della Biblioteca Vaticana, Pal. lat 1071), tardo XIII secolo (Wikipedia)

Federico II di Svevia scrisse a Foggia il suo famoso trattato di falconeria che è anche un inno al Creato e alla Natura

Federico II amava tanto la caccia con il falco da scriverne un libro dal titolo inequivocabile, il “De Arte venandi cum Avibus”, in cui la falconeria è elevata al rango di Arte. Lo “Stupor Mundi” nacque nel 1194 a Jesi, cittadina delle Marche, morì nel 1250 a Fiorentino, in Puglia, in provincia di Foggia. Negli anni del suo dominio il Sacro Romano Impero raggiunse il suo apogeo. Con lui la scrittura diventò strumento di governo e innumerevoli furono le opere scritte riconducibili a lui (tra esse ricordiamo le Costituzioni Melfitane, primo corpo legislativo di uno Stato moderno, che rimasero in vigore per circa sei secoli nel Sud Italia). Il “De Arte venandi cum Avibus” è l’unica opera redatta personalmente da Federico II. Secondo Wolfgang Stürner, storico del Medioevo e autore di una biografia monumentale su Federico II, lo Svevo si dedicò alla descrizione della caccia con il falcone “con un perfezionismo che a volte tende alla pedanteria, ma anche con una evidente partecipazione”. Perfezionismo e partecipazione trovano conferma nella ricca serie di illustrazioni che accompagnano i testi.

Federico si avvalse del suo carisma e del suo potere per convocare esperti falconieri da paesi lontani, dall’Inghilterra come dall’Egitto. Questi ultimi rassicurarono l’Imperatore sul fatto che “al sole della Puglia gli struzzi potevano covare le loro uova”. Anche durante i mesi di viaggio trascorsi per raggiungere Gerusalemme durante la VI crociata (unica risolta per via diplomatica e senza spargimento di sangue, ndr), Federico non mancò “di discutere a lungo con gli specialisti orientali”. Dagli Arabi imparò l’uso del “capellum”, cappuccetto di cuoio per tenere calmi i falchi e nel suo libro si “gloriò di averlo introdotto in Europa, anzi addirittura di avervi apportato un’importante miglioria attraverso piccoli fori per l’aria, grazie ai quali si evitava il surriscaldamento degli uccelli e le malattie da raffreddamento”.

Scopo del libro fu quello di “mostrare le cose per quello che sono”: “Intentio vero nostra est manifestare in hoc Libro de Venatione Avium ea, quae sunt, sicut sunt”. In ciò Federico appare precursore del metodo scientifico. D’altra parte già nel prologo del libro egli si descrive come “Un uomo pervaso dall’amore della ricerca e della verità” (vir Inquisitor et sapientiae amator). La caccia e l’amore per la natura erano un elemento inscindibile della sua personalità. Soprattutto negli ultimi anni di vita le sue ricerche furono ispirate da una concezione filosofica del mondo e della natura, in un ordinamento cosmico incentrato su Dio.

Ma dove fu scritto il De Arte venandi?

Stürner afferma che il libro “secondo informazioni fornite dall’autore stesso”, richiese circa trent’anni di preparazione. Considerando che Federico II morì nel 1250, possiamo tranquillamente dire che la raccolta di appunti e dati sui volatili e sulle tecniche di caccia, fu iniziata a partire dal 1221 e cioè l’anno dell’arrivo dell’Imperatore a Foggia e in Capitanata. Qui lo Stupor Mundi trovò un territorio particolarmente adatto alla caccia, ricco di boschi e di acquitrini. Negli otto anni precedenti era stato in Germania e al rientro, nel novembre del 1220, a Roma era stato incoronato Imperatore. Giunto in Capitanata, vedendo la bellezza del territorio decise di stabilirvisi facendo di Foggia REGALIS SEDES INCLITA IMPERIALIS. Questo recita l’Epigrafe murata su una parete del Museo civico insieme all’Archivolto del Palazzo imperiale e l’iscrizione esprime la chiara volontà politica dell’Imperatore di fare di Foggia la capitale dell’Impero.

A Foggia Federico non aveva soltanto il suo sontuoso Palazzo imperiale, purtroppo andato perduto. Aveva anche una seconda reggia in località Pantano. In prossimità di questa dimora volle allestire un meraviglioso parco dell’uccellagione. Lo studioso foggiano Giuseppe de Troia, nel suo altrettanto monumentale volume “Federico II – L’Urbe Foggia sia Regale Inclita Sede Imperiale”, afferma che il parco “era popolato di daini e di falchi con fiabesche costruzioni adibite a grandi voliere che i cronisti dell’epoca descrivono assai belle e delle quali il De Arte Venandi cum Avibus ci restituisce straordinarie immagini. Il parco era vasto e raggiungeva l’area di San Lorenzo in Carminiano dove pure dovevano esserci diverse case molto belle”. Il cronista fiorentino Giovanni Villani un secolo dopo ne scrisse: “in Riviera S. Laurentii domos valde pulcras” come sottolinea il de Troia nel suo splendido volume. Scavi eseguiti dall’Università di Foggia hanno permesso di localizzare con precisione alcune delle aree dove erano ubicate le costruzioni annesse al parco dell’uccellagione.

Cosa doveva essere questo vasto angolo di terra che partiva da Foggia e si disperdeva a perdita d’occhio per decine di chilometri, fino a raggiungere le Murge, verso Castel del Monte, o il Subappennino Dauno, verso Melfi e Lagopesole. E cosa potrebbe essere oggi se i cittadini di Foggia e l’intera collettività avessero la sensibilità per riconoscerne e preservarne la bellezza. Purtroppo la periferia della città è caratterizzata da degrado urbano e abbandono. Molti foggiani non conoscono la storia della loro città. Non sanno che Foggia fu capitale imperiale e ignorano che a pochi chilometri dalla città fu scritto un libro che è un meraviglioso inno al Creato, opera antesignana di valori quali l’ecologia e il rispetto dell’ambiente, oggi più che mai attuali. E non è retorica menzionare un santo e un papa, entrambi di nome Francesco, che alla natura e alle sue creature hanno dedicato un cantico in volgare italiano e una lettera enciclica, rispettivamente il “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi – coevo di Federico II – e “Laudato si’ “ di papa Bergoglio.

Nel 2021 saranno 800 anni dall’arrivo dello Stupor Mundi a Foggia e in Capitanata e per l’occasione una Stele commemorativa verrà donata alla città da Johann Heinrich von Stein, economista e professore emerito dell’Università di Hohenheim di Stoccarda. La Stele verrà inaugurata il 29 maggio. In concomitanza con l’inaugurazione, all’Università di Foggia si terrà un convegno dedicato alla ricorrenza. Sempre nel 2021 il gemellaggio tra Foggia e Göppingen, cittadina dell’antica Svevia situata ai piedi del monte Hohenstaufen che ha dato il nome alla dinastia di Federico II, compirà 50 anni. Le due ricorrenze saranno l’occasione per i foggiani per un’attenta riflessione non solo sul passato, ma soprattutto sul presente e sul futuro della città, purtroppo in profonda crisi sociale ed economica. Ma la crisi di Foggia è soprattutto crisi culturale e di identità. Ne abbiamo parlato su questo giornale il mese scorso nell’intervista a Myrtha de Meo Ehlert, medievista tedesca che vive a Foggia.

Dal 7 giugno al 21 ottobre del 2018, il libro di falconeria del Puer Apuliae è stato oggetto di una mostra pluritematica, che ha avuto luogo in tre castelli pugliesi, a Bari, Trani e Castel del Monte. La mostra ha avuto il titolo “Il potere dell’armonia. Federico II e il De Arte venandi cum avibus”. Personalità del calibro di Riccardo Muti, Ortensio Zecchino e Anna Laura Trombetti Budriesi (traduttrice e massima esperta del voluminoso libro di falconeria) hanno partecipato con interventi, musiche e fotografie. La locandina pubblicitaria della mostra affermava che la mostra avrebbe permesso ai tre siti di “fare sistema”. Peccato che Foggia e la Capitanata, luoghi dove il trattato è stato concepito, elaborato e scritto, ne siano rimaste fuori.

Purtroppo quella di restare esclusa da manifestazioni ed eventi riguardanti il suo cittadino storico più illustre (ma anche dai libri di storia) è una caratteristica ricorrente che ha riguardato e riguarda Foggia. La Stele commemorativa che la città riceverà nella primavera del 2021 auspicabilmente rappresenterà una inversione di tendenza. Come foggiano che vive in Germania lo spero fortemente ed esprimo l’auspicio che il coronavirus non impedisca a un’intera collettività di celebrare se stessa e di riconciliarsi finalmente con la propria identità storica.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here