Foto di ©Giuseppe Vedelago

Le ville venete, dal Palladio in poi, sono per eccellenza le architetture della pax veneziana, mentre, qualche secolo prima, i castelli erano le costruzioni delle guerre medievali. E spesso li vediamo ora convivere nello stesso territorio. Ne è un esempio Castelfranco Veneto, che abbiamo ricordato come sede di importanti ville, tra cui villa Bolasco (XVIII sec.), come patria del Giorgione (secc. XV-XVI) e come borgo fortificato dei primi decenni del XIII secolo, grazie alle sue possenti mura risalenti appunto a più di ottocento anni fa.

Il castello fu costruito dal Comune di Treviso negli anni che vanno dal 1195 al 1210. Doveva costituire un punto di difesa avanzato del territorio trevigiano contro le mire di espansione dei Padovani, che testarono ben presto le capacità difensive della nuova fortificazione, assediandola ripetutamente, ma invano, nel 1215 e nel 1220. Il nome Castelfranco deriva dalla esenzione da tasse e da imposte (per questo “franco”) accordata a quanti avessero accettato di andar ad abitare all’interno delle mura e si fossero impegnati nelle opere di costruzione e di difesa del castello.

Foto di ©GiuseppeVedelago

I Padovani, non essendo riusciti a conquistarlo, decisero di costruirne un altro, ad una ventina di chilometri di distanza, per contrapporlo a quello di Castelfranco. Sorse così la città murata di Cittadella, in una zona centrale della pianura veneta, abbondante di acque fluviali e di risorgiva, da convogliare in un largo fossato attorno alle mura, e ben servita dalla Postumia romana, la più importante via di comunicazione che solcava da est ad ovest, da Aquileia a Genova, tutta la pianura padana e che lambiva sia Cittadella che Castelfranco.

Cittadella, nuova città murata

Il nuovo borgo fortificato assunse fin da subito caratteristiche originali rispetto a quello di Castelfranco: il castello non ha più la classica forma quadrangolare con un limitato sviluppo di mura compatte, ma viene costruito su una pianta quasi rotondeggiante, a contenere un borgo destinato ad acquisire una certa autonomia di governo, anche come centro amministrativo ed economico.

Si avvista da lontano l’alta cinta muraria dalla merlatura guelfa ed, avvicinandosi, si ha subito la sensazione di entrare in un altro mondo. L’ampio fossato, i poderosi terrapieni costruiti con materiale di riporto delle fosse e le mura svettanti, dotate di quattro porte fortificate e costellate da una trentina di torri di varia dimensioni, sono testimonianze di un’epoca ben precisa. Ti aspetti di sentire lo sferragliare di armature, il sibilo di nugoli di frecce, le urla scomposte degli assedianti e dei difensori. Tutto è stato sapientemente conservato o restaurato.

Per completare l’illusione sei subito invitato a salire da una delle torri sul camminamento di ronda, completamente percorribile, protetto dal parapetto e dai merli, e ti puoi rendere conto di come le mura fossero corredate di scale retrattili, parapetti, tetti, porte, botole, pennoni, ponti levatoi, argani. Un sistema difensivo davvero unico, per di più in un ottimo stato di conservazione.

Foto di Lorenzo Morao

Da quel percorso elevato lo sguardo si può distendere a nord, per ammirare le colline della Pedemontana e le altre città murate di Marostica e di Asolo, mentre a sud si profilano i Colli Euganei, ad ovest i Monti Berici e ad est l’eterna rivale, la vicina Castelfranco.

Volgendo lo sguardo al borgo interno, si nota subito lo sviluppo ordinato dell’abitato, secondo il sistema a scacchiera, imperniato sui due assi principali che raccordano le quattro porte, aperte sui punti cardinali. Si distinguono alcuni edifici, eretti tra il Settecento e l’Ottocento, in particolare il Duomo ed il Teatro Sociale, e qualche edificio di più antica origine, come il Palazzo Pretorio, già sede del Podestà, decorato esternamente a finta tappezzeria, con il Leone di San Marco in rilievo sul portale d’ingresso.

Non si colgono palazzi di particolare importanza all’interno della mura (solo qualcuno nel perimetro esterno), a testimoniare che tra i nobili e gli artisti veneziani e Cittadella non ci fu un rapporto privilegiato, come l’ebbe Castelfranco. Anche se la singolare cittadina fu molto apprezzata da personaggi politici, illustri letterati ed uomini ci cultura.

Per la verità Dante, il sommo poeta, la ricordò nel Paradiso (canto IX, versi 52-54) per l’orrida prigione in cui l’efferato tiranno, Ezzelino da Romano, signore di Cittadella a metà del XIII secolo, fece morire tra atroci stenti centinaia di prigionieri. Quella prigione che Dante si limita a chiamare “malta” è stata identificata nella Torre di Malta, una poderosa costruzione quadrata, addossata alla Porta Padovana, che reca su un muro esterno due lapidi, una con i versi di Dante e l’altra con un brano della “Cronica” duecentesca del Rolandino.

Lo stesso imperatore Federico II di Hohenstaufen, nell’inverno del 1236 ebbe modo di ammirare il possente borgo murato di Cittadella, soggiornandovi per qualche settimana.

Ma a cogliere la bellezza degli antichi borghi veneti, come Cittadella, furono soprattutto i letterati e gli artisti dell’Ottocento, in particolare il poeta inglese Robert Browning, che, affascinato da quel borgo antico, arrivò a confessare che per quella cittadina “avrebbe potuto anche dar via l’intera Londra”.

In effetti quelle maestose e corrusche torri, quell’incredibile camminamento di ronda, quel borgo così ricco di storia, sono destinati a rimanere per sempre negli occhi e nel cuore di ogni visitatore