Nella foto: René Magritte, La condizione umana (La condition humaine), 1933, olio su tela, 100×81 cm. Washington, National Gallery of Art.

Per millenni l’uomo ha lottato per sopravvivere e durante questo periodo la tecnologia, sebbene fosse ai primordi, è stata per lui la motivazione principale.

La rivoluzione industriale costituì un punto critico di questo sviluppo che portò all’esplosione di quelle attività, rischi e ricchezze che segnano l’inizio del mondo che noi conosciamo ora nei cosiddetti paesi sviluppati. La scienza ha accelerato questo processo scoprendo la natura della materia e le leggi fisiche che hanno aperto un’intera gamma di industrie a carattere scientifico.

Nel frattempo si è verificato un progresso spettacolare nella ricerca scientifica, le enormi spese sostenute in questo senso in tutti i paesi industrializzati forniscono un ricco e fiorente deposito di sapere donde sta certamente sorgendo un ancor più ampio sviluppo tecnologico, con conseguenze per il futuro della società.

Dobbiamo riconoscere l’enorme successo della scienza e della tecnologia nel provocare un’ondata di prosperità e di sviluppo economico, a un livello senza precedenti per il pianeta, che ha aumentato e arricchito i nostri rifornimenti alimentari, allungato le nostre vite e portato salute e agi a molte persone, alle passate generazioni questa sarebbe apparsa come l’età dell’ oro.

Ma la scienza e la tecnologia con tutti i loro meriti, sono senza dubbio le cause principali della complessità della situazione moderna, dello straordinario aumento della popolazione di cui stiamo soffrendo, dell’inquinamento e di altri spiacevoli effetti dell’industrializzazione.

Mancando di una chiara visione di come vogliamo il futuro, non sappiamo verso quale precisa direzione guidare l’enorme forza rappresentata dalla ricerca scientifica e tecnologia, una forza potenzialmente capace di dare sia progresso sia distruzione. Proprio a questo punto, vicini alla felice conclusione vecchia lotta dell’uomo contro la povertà, le malattie la schiavitù, la morte, cominciamo a percepire che la nostra società tecnologica ogni passo avanti rende l’uomo insieme più impotente e più forte, che ogni potere acquisito sulla natura sembra essere un potere sull’uomo stesso, un rapporto intrinseco al potere controllato e controllabile.

A corroborare tale opinione si avvale un concetto come la guerra, tanto più la guerra diventa un’operazione di polizia, un’ operazione di polizia globale, universale, cioè un intervento specifico, d’altronde la trasformazione degli eserciti dimostra questo: non si tratta di avere i grandi eserciti che hanno funzionato bene durante la seconda guerra mondiale, ma gli eserciti sono diventati unità mobili che possono essere trasformate, trasferite in ogni punto del mondo, nel minor tempo possibile con capacità di intervento, che non sono più di semplicemente capacità di distruzione, ma capacità di National Bulding, di organizzazione di costruire le nazioni, ordinamenti politici.

La globalizzazione ha aperto un processo di divisione profonda in tutti i paesi del mondo, l’unificazione del capitale mondiale che mette in crisi l’intero sistema capitalistico basato su fondi azionari.

Così noi possiamo trovare grandi ricchi a New York o Los Angeles, anche a Johannesburg o Nuova Delhi, la lotta per la fine della miseria, diventerà quella capacità di metamorfosare l’uomo. Oramai, come sappiamo, le multinazionali ragionano sulla base dei lori interessi e quelli dei loro azionisti; i capitalisti hanno sussunto la morte come progetto di speculazione.

Le conseguenze della tecnologia e del determinismo finanziario che ha sussunto sono tutte troppo ovvie e costituiscono una minaccia che può divenire irreversibile per il nostro ambiente.

Gli individui sono sempre più alienati dalla società e rifiutano l’autorità visto che il loro capi di governo vivono come “la Bestia e il Sovrano” per riprendere un tema caro a Jacques Derrida.

Di conseguenza sebbene si ponga ancora l’accento sui vantaggi dell’aumento di produzione e del consumo, nei paesi prosperi sta nascendo la sensazione che la vita stia perdendo in qualità, e vengono messe in discussione le basi di tutto il sistema.

Cosi , nella scia del progresso scientifico e tecnologico, sono nati intollerabili divari, psicologici, politici ed economici che contrappongono l’avere e il non avere.

Come ricordava “Franco Basaglia” c’è un proverbio calabrese che dice: “chi non ha non è”. Siamo finalmente arrivati ad accorgerci che l’uomo è una creatura che capisce le sue origini, anche se indistintamente, e che ha qualche potere sul suo futuro, ma che manca di ogni concreto senso d’orientamento, la tecnologia ne ha aumentato ed esteso enormemente il potere materiale, ma sembra aver poco o nulla influenzato il modo di ragionare e il discernimento.

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