Terremoto in Turchia – L’appello del vicario apostolico di Anatolia, mons. Bizzeti

“Un disastro totale”. Con una frase, secca e drammatica per la portata della devastazione, il vicario apostolico di Anatolia, mons. Paolo Bizzeti, racconta ad AsiaNews il sisma che ha colpito la Turchia, provocando migliaia di morti anche nella vicina Siria.

Dopo il grave terremoto nella notte tra il 5 e il 6 febbraio, la cattedrale dell’Annunciazione di Alessandretta (Iskenderun in turco), risalente al 19°secolo, è crollata e gli edifici dell’episcopio e dell’accoglienza sono devastati. Iskenderun è una delle città della Turchia con la comunità cristiana più numerosa, conta infatti più di tremila battezzati.

Il vescovo Paolo, in Italia per impegni istituzionali legati al suo ministero, è già all’opera per organizzare gli aiuti.

In un’intervista al Tg2000, commentando il terremoto, spiega: “È una grande tragedia di cui non conosciamo i contorni. Ci sono ancora tante persone sotto le macerie e i lavori di ricostruzione dureranno anni. Anche sul fronte dei soccorsi c’è bisogno di un coordinamento. La situazione continua ad essere drammatica anzi l’emergenza sta aumentando. Le persone sono molto stanche. Dove abito, ancora adesso non c’è la possibilità di fare una doccia e di lavarsi. E nonostante il duro lavoro di molti ci sono ancora tantissime cose da fare”. Mons. Bizzeti, tornerà presto in Turchia ed ha espresso la paura che “con il passare dei giorni e delle settimane questa tragedia venga dimenticata. Lancio un appello a tutti: non dimenticatevi di noi. Aiutateci ad aiutare! Grazie alle offerte e alla vicinanza di tante persone stiamo affrontando questa grossa prova con speranza”.

Riportiamo la lettera che il 13 febbraio padre Antuan Ilgit, vicario generale e cancelliere del Vicariato apostolico di Antiochia, scrive sul sito: amo – Amici del Medio Oriente Onlus:

“Buongiorno, carissimi.

È lunedì ed è già passata un’intera settimana. E noi non ci siamo ancora abituati alla situazione! E sicuramente ne passeremo tante altre in questa situazione.

Tuttavia, continuamente ringraziamo il Signore per il dono della vita e della salute. Non siamo soli, qui ci aiutiamo e ci consoliamo fraternamente. Ho appena fatto un giro fuori, sul lungo mare. Era da giorni che non potevamo andarci, perché l’acqua del mare aveva coperto le strade; ora, invece, l’acqua si è ritirata lasciando solo sabbia sulle strade. I palazzi gloriosi di una volta non ci sono più (qui in Turchia abbiamo la mania di costruire palazzi alti, con i piani messi l’uno sull’altro, come scatolette di fiammiferi); le infrastrutture sono distrutte (ci vorranno anni per risistemare i tubi che portano l’acqua); la gente vive nelle tende o all’aperto, davanti ai propri palazzi crollati, aspettando i loro cari, perché si sta ancora scavando… e ci vorrà del tempo per scendere dai piani alti fin giù… settimo piano, sesto piano, quinto piano… Poi ci sono quelli che aspettano davanti ai loro negozi, perché sono spuntate delle specie di squadre di uomini che rubano.

Oggi comunque non voglio parlare di tutto questo.

C’è ancora un pezzetto di storia che non vi ho raccontato, ossia come ho informato il nostro caro vescovo Paolo la mattina del sisma. Sono il suo vicario delegato e suo confratello, questo dovere del momento spettava proprio a me.

Quando c’è stato il terremoto, il nostro vescovo si trovava in Italia. Ho aspettato fino alle 5 (in Italia erano le 3 del mattino) per mandargli un messaggio. Ovviamente non si è svegliato. Ho aspettato circa un’ora perché temevo che svegliandolo e dicendo del terremoto gli venisse un colpo. Come si fa a dire a un vescovo che la sua cattedrale non c’è più? Ma poi lo dovevo svegliare, anche perché il mio cellulare stava morendo e non avrei potuto ricaricarlo più chissà per quanto. L’ho svegliato: «Carissimo, c’è stato un terremoto molto forte. Noi stiamo bene, ma la cattedrale è completamente crollata!». Un lungo silenzio. Non mi aveva capito per niente. Ho ripetuto la notizia. Quando mi ha compreso, quasi crollato per la gravità della notizia, in un primo momento non sapeva come muoversi. Gli ho proposto di mettere giù il telefono e di sentirci dopo cinque minuti, per fare subito un piano di emergenza. Al risentirci, lui voleva venire subito a Iskenderun: un vescovo non lascerebbe mai da solo il gregge affidatogli e Paolo ancora di più! Gli ho suggerito di aspettare che facessi qualche verifica. Quando ho potuto appurare la gravità della situazione (l’aeroporto di Hatay inagibile, le strade in parte interrotte, ecc.), gli ho suggerito di rimanere per un po’ di tempo in Italia, anche perché in quel momento lui poteva fare davvero molto più in Italia che qui a Iskenderun. E tuttora è così.

So infatti che sta incontrando tanti di voi, sta facendo degli incontri per sensibilizzare la gente, parrocchie, organizzazioni e istituzioni varie. È grazie anche a lui che stiamo ricevendo degli aiuti. Paolo è costantemente in contatto con me e con John, il direttore di Caritas Anatolia. Se noi stiamo in piedi, fiduciosi e speranzosi, è anche perché il nostro pastore non ci ha abbandonato nemmeno per un istante.

Chi conosce Paolo sa bene come lui sa creare comunità e tenerla unita con lui, presente o meno. Quando aveva fatto il suo ingresso nella sua cattedrale io c’ero; mi aveva fatto tenere l’omelia in turco, la mia lingua.

Anche questo un gesto di profondo significato e di attenzione verso i nostri cristiani. Mi ricordo la sua emozione e il suo amore per la nostra terra e per il gregge affidatogli. Ciò nonostante, ora, a distanza di sette anni da quando Paolo è diventato vescovo – anni di sacrifici e anche di grande solitudine, almeno all’inizio –, faccio fatica a immaginare il suo dolore e ciò che prova nel silenzio del proprio cuore. Abbiamo recuperato dalle macerie la borsa in cui c’era il suo pastorale e la sua mitra, e lo aspettiamo, quando sarà possibile, per continuare a servire insieme i cristiani di Anatolia, per quanto ancora il Signore vorrà.

Affidiamo il nostro vescovo Paolo e tutti noi all’intercessione della Madonna e dell’apostolo Paolo di Tarso, affinché il Signore ci custodisca nel suo amore e ci rafforzi nel suo servizio”.

Appello

La Delegazione Italiana, lancia un appello di solidarietà con una campagna di raccolta fondi nelle nostre comunità italiane da destinare ai cristiani di Anatolia. È sicuramente segno della provvidenza e della volontà del Signore che a fine aprile, dal 17 al 25 per l’esattezza, ci recheremo per gli esercizi spirituali proprio nella Turchia devastata dal terremoto, ripercorrendo le orme di San Paolo, accompagnati dal vescovo di Cassino mons. Antonazzo.

L’apostolo delle genti, san Paolo, chiede a tutti quanti noi questo grande gesto di carità e di solidarietà per chi oggi è nel dolore. Una piccola goccia nell’oceano sicuramente, ma che incoraggia i nostri fratelli cristiani a rialzarsi e a non perdere mai la fiducia e la speranza nel Signore. Ho già avuto un colloquio telefonico con il vicario apostolico di Anatolia, mons. Bizzeti il quale si è molto compiaciuto per questa nostra iniziativa e fin da ora ringrazia per il nostro sostegno. Il Vescovo ha espresso il desiderio di incontrarci personalmente quando saremo in Turchia. Per noi sacerdoti rappresenta un gesto significativo e bellissimo poter consegnare personalmente nelle mani del vescovo pastore quanto riusciremo a raccogliere nelle nostre comunità.

Facciamo appello alle lettrici e ai lettori, alle Comunità italiane, ai sacerdoti e ai collaboratori pastorali, ad aprire i cuori alla generosità.

Doniamo con gioia!

Le offerte potranno essere versate sul seguente conto bancario della Delegazione I.K.M.

Bank: Italienische Missionare Solidaritätsfonds

IBAN: DE53 5019 0000 0000 2760 14

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