Come si è visto dall’evolversi della crisi debitoria nell’Eurozona, la coesione dell’Unione Europea è minacciata anche dalle differenze culturali esistenti tra gli Stati membri. Perché la disponibilità di una società ad indebitarsi senza pensare alle conseguenze, la mentalità di accettare e concedere favori a scapito della comunità, la tendenza all’evasione fiscale e alla corruzione sono diffuse in modo diverso nelle differenti nazioni, a causa delle rispettive evoluzioni storiche e delle diverse mentalità sviluppatesi di conseguenza.
Nell’opinione pubblica, complici i media che spesso rafforzano e favoriscono una discussione animata, ciò origina generalizzazioni, attribuzioni di colpe, pregiudizi, inimicizie e offese che mettono a dura prova la solidarietà tra i popoli, rischiando di compromettere il consenso e, in ultima analisi, anche la democrazia. È positivo che i governanti europei non si siano fatti impressionare particolarmente da queste tendenze. Si può allora ritenere che, almeno a livello di responsabili ed eventualmente anche di maggioranze dei nostri Paesi, abbia prevalso la cultura della riconciliazione e della comprensione, indispensabile nella vita dei popoli che insieme hanno dato origine all’Unione europea? Ma l’attuale crescita di movimenti populisti e nazionalistici in molti Paesi, che invocano una "rinazionalizzazione" della politica sulla base della differenza culturale, rappresenta un forte segno di allarme.
Nonostante tutti gli sforzi per la sua realizzazione, l’unificazione dell’Europa resta un progetto fragile. Per questo motivo ha una certa plausibilità l’affermazione attribuita a Jean Monnet secondo cui, se si potesse ricominciare da capo con l’integrazione europea, si dovrebbe iniziare dalla politica culturale. Perché se anche i malcostumi precedentemente menzionati non possono essere di norma ascritti alla cultura nella sua accezione più nobile, è pur vero che la frequenza con cui tali malcostumi si manifestano in una società indica la presenza di un’idea dello Stato e della legge che è propria di una determinata tradizione e cultura. Ma Jean Monnet, che ispirò sessant’anni fa Robert Schumann a formulare la sua innovativa proposta di utilizzare la Comunità europea del carbone e dell’acciaio come base del processo di unificazione, non ha mai fatto questa affermazione, come sappiamo dalla filosofa culturale francese Helene Ahrweiler, vera autrice di questa citazione, ripetuta erroneamente per decenni e che ha tentato invano e ripetutamente di chiarire il malinteso.
La sua affermazione originaria -"Al posto di Monnet avrei iniziato dalla cultura!"- venne trasformata dai media nell’asserzione che fosse stato lo stesso Jean Monnet ad essersi successivamente convinto di questa necessità. Jean Monnet sapeva bene perché fosse opportuno utilizzare materiali solidi come il carbone e l’acciaio come punto di partenza per la grande impresa che, a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, avrebbe garantito la pace e la riconciliazione tra i vicini, portandoli ad una cooperazione durevole. Perché nel contesto di allora, era l’industria del carbone e dell’acciaio a mettere gli Stati in condizione di poter fare le guerre. Occorreva perciò privare nel lungo periodo gli Stati della capacità e quindi anche della possibilità di farsi guerra gli uni gli altri mediante l’integrazione sovranazionale della politica industriale di quel settore.
Accanto a questo motivo relativo alla politica per la pace, un ruolo importante ebbe anche la nascita di un interesse comune a trasformare la politica relativa all’industria del carbone e dell’acciaio in una questione comunitaria. Il lavoro comune alla realizzazione del progetto comune creò la coesione che consentì di avviare con successo altri progetti d’integrazione concreti nel corso dei decenni successivi, dalla politica agraria comune fino alla moneta unica. L’idea di una politica culturale comune come base del progetto di unificazione europea si basa su un equivoco: nello scambiare, cioè, il risultato sperato dell’unificazione europea con l’introduzione del processo che ad essa conduce. E come si potrebbero mai sottoporre ad una disciplina comune la molteplice produzione artistica e le rappresentazioni culturali?
Come si potrebbero regolamentare le attività letterarie e musicali e quelle relative alle arti rappresentative in ordinamenti validi per l’intera area dell’Unione? Non a caso, l’intero settore della cultura è soggetto al principio della sussidiarietà, ossia alla responsabilità e alla competenza degli Stati, delle regioni e dei comuni. Per contro, la cultura gioca un ruolo cruciale nella crescita comune, inserita nel contesto della comunità di nazioni e di Stati, quando promuove il consenso necessario a tale comunità, favorendo la comprensione reciproca. Ma per l’efficacia dei rapporti e degli sforzi a livello culturale, in particolare per quanto riguarda il settore dell’educazione e dell’istruzione, occorre una cornice politico- istituzionale che non può essere creata dalla cultura.