Sono insomma i garanti della comunicazione tra le generazioni passate e quelle future, rappresentano il bagaglio di saperi trasmessi che abbracciano un lasso di tempo  che può tranquillamente superare il secolo.
Quest’opera di comunicazione e di ponte tra generazioni altrimenti lontane, nel tempo e nello spazio, è un bene prezioso per tutti, è un arricchimento da condividere e che mette a disposizione della società intera una marcia in più.
Il colloquio fra nonni e nipoti è un elemento fondante di ogni civiltà, da favorire in ogni modo; perché sono i nonni, gli anziani in genere coloro che vengono da un passato lontano ma che sono capaci di insegnare ad esplorare il futuro. 
Il migrante, dunque, per definizione arricchisce il Paese che lo ospita con le proprie tradizioni e la propria cultura, contribuendo lavorativamente alla produttività della Nazione. Non dimentichiamo che la maggior parte delle volte chi emigra lo fa per necessità: abbandona la famiglia e tutto quello che fino a quel momento ha chiamato “casa” per andare in un luogo sconosciuto in cui si parla una lingua differente, vigono leggi diverse e perfino si “mangia diverso”. E allora ci si mette in gioco e si cerca un lavoro in cui dare il meglio di sé per mandare i soldi a casa o, nella maggior parte dei casi, per crearsi nuove radici, stabilendosi per sempre in questo luogo dapprima sconosciuto.
Mi viene in mente quando da ragazzo passavano a salutarci parenti e amici prima di partire in cerca di fortuna altrove. La domanda che noi ci ponevamo con una certa curiosità era: dove vanno, forse in America? Dove si trova? Come ci si arriverà? E quando ci rivedremo? Essi ci dicevano che sarebbero partiti col bastimento per attraversare l’oceano con un viaggio di alcune settimane, poi che in posti come il Sud America avrebbero cercato lavoro per poter un giorno ritornare in Italia. Invece, la maggior parte delle volte, non sono mai più tornati a casa. Padri madri sorelle fratelli amici, non li hanno visti più, inghiottiti dalle distanze di un mondo dove non si usavano gli aerei superveloci e le comunicazioni via internet in tempo reale.
Tra tante storie come queste c’è quella di Papa Bergoglio, il nostro Papa Francesco, figlio di emigranti piemontesi: una storia tra tante, di cui oggi tutto il mondo parla, che lui stesso ha ricordato commuovendosi poco dopo l’elezione a pontefice … E che ci ricorda cos’abbia rappresentato l’emigrazione italiana fra Otto e Novecento: un fenomeno su scala mondiale che ha arricchito il pianeta con il lavoro di tanti uomini, alcune volte famosi, il più delle volte anonimi: ma quasi sempre con il contributo del genio che ha reso l’Italia,  e speriamo sia sempre così anche in futuro, una civiltà unica e inconfondibile.
Ma a fronte di tutto questo, si può affermare che non sempre ci sia stata riconoscenza, all’estero come in Italia.
Parlando in tante occasioni, ho voluto sottolineare quale  delitto sarebbe dimenticare cosa sia stata l’immigrazione degli Italiani, costretti, dalla povertà e dal disagio sociale, ad abbandonare il paese d’origine, a lasciare i propri affetti e ricordi per raggiungere paesi lontani: Argentina, Brasile Venezuela,  Nord America, Australia.
Gente come la nostra che ha dovuto lottare accanitamente, giorno dopo giorno, per una vita migliore in quei paesi d’adozione (non sempre così accoglienti), che ha dovuto affrontare tanti sacrifici per aiutare i parenti rimasti a casa, che ha dovuto sospirare per molto tempo prima di poterli rivedere. È davvero una colpa della nazione italiana che questi eroi misconosciuti, dopo tanti sacrifici, debbano sentirsi tanto spesso emarginati e dimenticati.
Ma come dimenticare che il sudore dei nostri Italiani ha aperto in paesi come la Svizzera tante strade e gallerie? Eppure, quegli stessi emigranti che negli anni dell’espansione economica sono stati così utili come manodopera, sovente con il sopraggiungere della vecchiaia vengono messi da parte.
Si può immaginare un emigrante di madrelingua tedesca invecchiare volentieri in un altro paese? Eppure capita così spesso agli Italiani …
Il ritorno in patria dei cittadini svizzeri più anziani dimostra sempre più come cultura e lingua d’origine siano fondamentali per l’essere umano. Per questo i nostri emigranti vogliono case di riposo concepite non come luoghi privilegiati ed esclusivi, quasi asettiche campane di vetro: ma spazi vivi in cui poter praticare la propria lingua e la propria appartenenza.
Da un lato, non hanno mai avuto la possibilità di usufruire di un numero così rilevante di progetti d’integrazione quali esistono attualmente; dall’altro, non sono stati mai così esigenti come adesso in un contesto dove altri gruppi etnici spiccano e si fanno sentire in modo più marcato.
Queste persone hanno lavorato e vissuto in famiglia o all’interno del proprio gruppo linguistico. Oggi che sono anziane riescono a fatica a trovare le parole di una lingua non loro, per orientarsi nel mondo di tutti i giorni, sociale e lavorativo. Addirittura si segnalano situazioni di disturbo delle funzioni cerebrali che evidenziano, agli specialisti della terza età, quanto siano imprescindibili la lingua madre e la cultura di origine.  Queste “cose”, a cui non dà peso soltanto chi non ne ha provato la mancanza,  sono legate indissolubilmente ai sentimenti e alla vita più intima di una persona.  Sono indispensabili ad un individuo per invecchiare e morire con dignità. Perché non vogliamo garantire tutto ciò agli italiani e alle italiane?
Cari connazionali, siete contrari ad una casa di riposo esclusivamente per voi. Volete uno spazio vitale per persone di lingua italiana non più integrate nella società e nella famiglia. Probabilmente non ci si aspetta più che i vostri figli e nipoti riescano ad accudire i genitori fino alla fine, giacché le circostanze varie non lo permetterebbero …
Credo che sia davvero un peccato. Gli italiani e le italiane, ribadisco, non vogliono strutture separate ma essere accolti in case di riposo svizzere come persone di lingua italiana che amano la propria cultura. È una richiesta realistica e attuabile che tuttavia ha particolarmente bisogno sia di interventi finalizzati che di collaborazione e non di discorsi strategici impossibili da realizzare. Vorrei ricordare l’appello del nostro papa Francesco, pronunciato recentemente e valido per tutte le situazioni del mondo: “cosa facciamo per i nostri migranti?”.
E ancora, rivolto soprattutto ai giovani, ha detto: “non fatevi rubare la speranza!” . Ecco, non facciamoci rubare e soprattutto non rubiamo la speranza a chi, più debole, ne ha bisogno e diritto più degli altri.