Il grido di protesta che si è sollevato dopo la sentenza è quindi totalmente comprensibile e condivisibile. Vero è che la sentenza lascia spazi a trattative bilaterali tra i due Paesi, ma dopo la sentenza è difficile immaginare che la Germania voglia aprire il contenzioso, e il governo italiano non ha al momento (ma crediamo non avrà neppure in futuro) né la forza né l’intenzione di farsi ascoltare a Berlino. La politica estera dell’Italia è sempre stata quella di chinare il capo di fronte ai potenti.
Ricordiamo le immagini di Moro ministro degli esteri che si addormentava nei colloqui con Kissinger, un po’ perché non conosceva l’inglese, un po’ perché, comunque, la politica estera italiana la facevano gli americani. Era così allora, è così oggi. Le vittime dovranno quindi ingoiare una ingiustizia. Tuttavia, la chiusura del contenzioso sul risarcimento e sul riconoscimento delle vittime di crimini di guerra, apre anche scenari nuovi e non negativi. La deputata eletta all’estero e residente in Germania, Laura Garavini, ha pubblicato una nota che mi pare interessante. Dice la nota: utilizziamo la sentenza anche per creare degli spazi comuni italo-tedeschi per non dimenticare.
Per celebrare insieme la Memoria. In questo senso l’Italia potrebbe trovare in Germania un terreno fertilissimo fatto di intellettuali, di giornalisti, di autori, di politici che sarebbero disposti a collaborare, a scendere in campo ed a trovare un terreno comune di intervento e di dibattito. Ciò potrebbe anche un poco -forse- correggere l’immagine iniqua che l’Italia e gli italiani si sono formati negli ultimi vent’anni, grazie a personaggi come Berlusconi o Schettino, Frattini o Bossi; e cioè quella di un popolo losco e puttaniere, spaccone, incapace e codardo. Una immagine che il popolo italiano non merita assolutamente. Forse quella è la maniera più giusta e più utile per andare avanti nonostante una sentenza ingiusta nei confronti delle persone e che antepone gli interessi degli Stati a quelli dei singoli individui.
Quali possano essere, poi, i margini del dibattito, e su quali punti svilupparlo, e su quali piattaforme mediatiche, questo è tutto da vedere. Sta alla politica (e all’informazione) trovare le forme giuste e coinvolgenti affinché il dibattito non rimanga su binari consunti. Ma questo è possibile. Al contrario, continuare a gridare non serve, perché il grido, in questa Germania che ormai ritrova il suo ruolo internazionale, non troverebbe ascolto. Questa Germania è fatta di persone che sono nate dopo la guerra ed hanno una profonda educazione alla democrazia ed al rispetto. Con questa Germania, fatta di uomini e di donne che sono disposte ad ascoltare le ragioni degli altri, si può e si deve iniziare a parlare anche e soprattutto di temi, come la Memoria, che possono diventare patrimonio culturale comune nel rispetto per ciò che questa generazione di italiani e di tedeschi è diventata.