Francesca Magistro è nata a Torino, ha studiato PhotoEditing a Roma e poi Documentary Photography all‘University of Wales, Newport. Dal 2014 si è stabilita a Colonia, dove fa parte del collettivo Fotoraum, formato da fotografi di diverse nazionalità accomunati da un concetto di comunicazione solidale. Francesca Magistro ha esposto i suoi lavori tra l’altro a Penarth, Bristol, Londra, Cardiff e Torino. Il suo ultimo progetto “Lucus a non lucendo” verrà inaugurato il 6 novembre a Colonia nei locali del Fotoraum (Herderstr. 88 – ingresso ore 20.00) e prevede l’uso di diversi media: fotografia, giornali e video sequenze.
Prima di dedicarti alla fotografia documentaristica sociale hai studiato lingue e letterature straniere, concludendo con una tesi di laurea in antropologia visiva, per l’esattezza sull’emigrazione lucana, sulle foto inviate e ricevute dagli emigrati lucani in America e in particolare a New Orleans. Poi, a distanza di diversi anni, sei tornata a interessarti della Basilicata. Perché?
La mia famiglia è di origine lucana e in qualche modo mi sento legata a quella terra – già da bambina ne ho colto le bellezze, ma anche le sofferenze. Poi un giorno ho scoperto che oltre al problema dell’emigrazione ce n’era un altro enorme, ma di cui nessuno parlava: il petrolio.
E così è nato il tuo ultimo progetto, che si intitola “Lucus a non lucendo” – cosa significa?
È una frase latina che significa letteralmente: «[La parola] bosco [deriva] da “che non è illuminato”» – un luogo che io identifico appunto con la Lucania, dove ci sono tanti boschi e quindi poca luce. Ovviamente ho usato l’espressione in senso metaforico, perché dai boschi proviene il petrolio e soprattutto perché di questo argomento non se ne parla apertamente – un argomento sul quale non si vuol far luce. Il petrolio si estrae in Basilicata da decenni, ma solo negli ultimi due anni si è iniziato a vedere degli articoli su questo tema nella stampa nazionale e internazionale. Quando ho iniziato io le mie ricerche, quattro anni fa, era ancora silenzio assoluto. Pensavo di sapere tutto sulla Basilicata, poi invece… ho scoperto che lì c’era il petrolio, il tesoro più importante della nostra epoca: lo si estraeva, ma tanti degli abitanti della regione nemmeno lo sapevano. Semplicemente era una specie di segreto assurdo!
Inconcepibile anche perché stiamo parlando della regione più povera d’Italia e una tale risorsa dovrebbe portare ricchezza agli abitanti del luogo…
Sembra un controsenso, ma è realtà. Io l’ho scoperto facendo le mie interviste e trovandomi davanti a muri di mutismo… oggi so che non se ne parla per interessi politici, per interessi mafiosi, per interessi personali – ho scoperto fonti dove l’acqua esce permeata di petrolio, delle aziende agricole a cento metri dalle torri di estrazione, ho sentito storie pazzesche di vitelli a due teste, di polli che muoiono improvvisamente, di gente malata di cancro… In Lucania per l’estrazione si usa anche la fratturazione idraulica, il fracking, cioè l’estrazione attraverso un flusso di acqua bollente… e già questo crea inquinamento ambientale. Ma poi ho scoperto che spesso viene fatta sul posto anche la prima raffinazione, benché questo sia vietato. Ma di controlli ce ne sono ben pochi. Sul posto non si crea benessere perché tutto viene manovrato da fuori regione, perfino gli operai specializzati vengono da altre regioni e di indotto non se ne parla nemmeno – al massimo un paio di ditte di trasporto… insomma, la gente vive immersa in una ricchezza di cui non hanno nulla, che li rende ancora più poveri e malati, che distrugge le risorse ambientali e turistiche senza offrire loro il minimo futuro.
Ma perché la popolazione non protesta?
Bisogna pensare che la Basilicata ha una densità di popolazione molto bassa e le fasce d’età relative a quelle persone che sarebbero in grado di prendere delle iniziative sono minime: i giovani sono emigrati. Ci sono delle iniziative, ma sono poche e scoordinate – e si trovano di fronte dei giganti del potere. La gente all’inizio era affascinata dall’idea di avere una nuova risorsa che rilanciasse l’economia della regione – perché così era stato venduto loro il progetto – oggi sanno di essere stati imbrogliati… sono delusi e rassegnati.
Il tuo è un progetto di denuncia sociale, un appello a far luce in un “Lucus a non lucendo” – e hai anche pensato a far sì che il tuo progetto possa essere facilmente portato in più luoghi, messo a disposizione di chi vuol informarsi.
Sì, il progetto prevede la stampa delle foto su un giornale con più pagine, dove sono riportati anche i testi di alcune delle mie interviste con gli abitanti dei posti che ho visitato. La storia è leggibile sfogliando normalmente le pagine del giornale, ma se si mettono insieme le pagine di due copie del giornale, si ricostruiscono le foto nella loro interezza e il tutto assume la forma di un grande manifesto di sei metri per tre, con testi e diverse fotografie. È un processo semplice, poco costoso, che chiunque può facilmente realizzare – una mostra fai da te, per così dire, che potrebbe essere portata ad esempio nelle scuole, nelle strutture pubbliche, ovunque ci sia interesse per questo tema.
A quali temi stai lavorando ora?
Intanto ancora a questo, perché sento che non è ancora concluso, che ho ancora qualcosa da dire, da scoprire, da comunicare. Vorrei trovare dei finanziamenti per stampare più copie del giornale e portarle nei paesini che ho visitato e documentare le reazioni delle persone… sì, c’è ancora molto da fare. Comunque nel frattempo sto anche elaborando un concetto per seguire una formazione orchestrale nel suo percorso. Anche qui ci sono degli sfondi sociali, ma per ora non vorrei dire di più.