La tanto contesa Cina è andata alla Germania, l’ambìto Giappone è andato all’Austria. L’Unione europea ha stilato i nomi dei suoi primi ambasciatori nel mondo, ma l’Italia non si è aggiudicata le poltrone “first class”. Roma si è dovuta accontentare di Uganda e Albania (assegnate a Ettore Sequi e Roberto Ridolfi) ed è stata tagliata fuori dalle parti più succulente della torta mondiale divisa da Mrs Pesc, Catherine Ashton, alto rappresentante della politica estera Ue. Con due sole sedi, e di minor peso sullo scacchiere internazionale, ha totalizzato meno della Spagna con quattro posti: Argentina, Angola, Namibia e Guinea Bissau.
Meno sedi per Roma anche rispetto alla Francia che ha “conquistato” Filippine, Chad e Zambia. La piccola Olanda, per esempio, ha avuto un solo ambasciatore, ma nell’importante Sudafrica. Perché Roma dunque è passata de facto alla stregua dei Paesi ultimi arrivati nell’Unione? Per il ministro degli Esteri Franco Frattini non c’è stato nessun “insuccesso”, eppure Lady Ashton ci ha penalizzati dal circolo dei servizi diplomatici dal grande gioco dei mercati più influenti del mondo. Sequi, ex inviato Ue in Afghanistan, ha avuto l’Albania, che è sì un Paese da sempre vicino all’Italia per interessi, ma non vanta di certo un’economia dinamica come la Cina.
L’Uganda invece è importante per i rapporti italiani nel Corno d’Africa, ma non in prima linea sulla scena internazionale. L’Italia è rimasta un passo indietro o forse ci è voluta rimanere. Nessuno dei nomi più illustri degli ambasciatori italiani si era candidato ed inoltre la caratteristica lentezza delle carriere diplomatiche nostrane ha influito: il limite europeo infatti è fissato a 61 anni, età forse troppo giovane rispetto alla scalata lumaca dei nostri possibili concorrenti. Cristina Ravaglia, presidente del sindacato dei diplomatici italiani, il Sndmae ha commentato: “L’Ue ha limiti di età che tagliano le gambe a molti dei nostri grandi.
Non è andata bene, ma noi eravamo partiti senza enormi ambizioni. Bisogna puntare sulla formazione dei candidati attualmente giovani o di età di mezzo”. Niente da fare nemmeno per le poltrone a capo dell’Eeas, il Servizio diplomatico europeo. Roma sperava di prendere almeno la poltrona di vice del segretario generale, ma anche lì è rimasta a bocca asciutta: il francese Pierre Vimont sarà il capo e per i vice ci sono già i nomi della tedesca Helga Schmid e del polacco Mikolaj Dowgielewicz. All’Italia non resta che incassare il colpo che la unisce al coro deluso dei Paesi più piccoli, come la Polonia che nonostante abbia avuto due sedi come Amman e Seul, si considera sotto-rappresentata.
I senatori Pd Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Francesca Marinaro sperano “che questo primo round di nomine di ‘ambasciatori europei’ rappresenti solo una falsa partenza. Certo è che vedere l’Italia così penalizzata rispetto ad altri partner europei è un pessimo segnale per il nostro Paese e per la sua politica estera”. “Se guardiamo alle nomine con la Germania che ottiene la rappresentanza in Cina e l’Austria in Giappone, con la Spagna che fa sue quattro sedi, con Svezia e Olanda che ricevono l’incarico per Pakistan e Sudafrica, l’assegnazione all’Italia dell’Albania e l’Uganda è lo specchio molto chiaro del prestigio internazionale di cui gode la politica estera di Berlusconi e Frattini. Uno schiaffo al nostro Paese”, ha aggiunto Zanda.