Nella foto: Quirinale. Foto di ©D.M.

Il 24 gennaio a Montecitorio prima convocazione dei grandi elettori in seduta comune. Molte le incognite che condizioneranno il voto

“Ce ne vorrebbe un’altro come Mattarella”. Con queste parole la senatrice Liliana Segre ha risposto ai giornalisti che le hanno chiesto, lo scorso 7 dicembre alla Scala, che presidente vorrebbe. Al tradizionale appuntamento di inizio stagione del teatro più importante d’Italia c’era anche Sergio Mattarella che è stato accolto da una calorosa ovazione del pubblico. Durante il lungo applauso tanti hanno gridato “bis”, un segno inequivocabile di ciò che molti italiani vorrebbero: l’accettazione di un secondo mandato o di un prolungamento della permanenza al Quirinale fino al termine dell’attuale legislatura, nel 2023. Mattarella ha però escluso tale possibilità e anche nel messaggio di fine anno lo ha ribadito con un esplicito riferimento al dettato costituzionale. Il quale dice che il Presidente è eletto per sette anni e non contempla la possibilità di una rielezione. Ma neppure la esclude.

Nella storia repubblicana soltanto Giorgio Napolitano è stato eletto una seconda volta. Avvenne nel 2013. Napolitano, 87 anni, aveva affermato più volte di non voler affrontare un altro settennato, ma il precipitare degli eventi lo indussero a cambiare idea.

Avverrà la stessa cosa con Mattarella? Una cosa è certa: con la profonda crisi politica che ha interessato il sistema dei partiti negli ultimi decenni, i presidenti della Repubblica hanno dovuto assumere ruoli sempre più ampi e incisivi, diventando un punto di riferimento e di equilibrio fondamentale per assicurare la necessaria stabilità istituzionale del paese.

Ma torniamo alla procedura dell’elezione.

Nella storia delle elezioni presidenziali non mancano colpi di scena e sorprese di cui spesso sono artefici i cosiddetti “franchi tiratori” i quali usano il voto segreto non seguendo le indicazioni dei partiti di appartenenza. Un’altra particolarità tutta italiana è rappresentata dal fatto che non c’è alcun obbligo per i partiti politici di indicare in anticipo il nome dei propri candidati. I motivi li ha spiegati, recentemente, il costituzionalista Michele Ainis rispondendo al giornalista Andrea Pancani durante la trasmissione Coffee Break di La7.

Alla domanda sul perché le forze politiche non presentino in anticipo le candidature ufficiali consentendo per tempo al Parlamento in seduta comune di decidere, Ainis ha risposto che “la prassi di non presentare candidature risale al 1948, con l’elezione di Luigi Einaudi, quando Palmiro Togliatti (l’allora segretario del Partito Comunista Italiano, ndr.) chiese una sospensione della procedura di voto per discutere delle candidature e Giuseppe Dossetti per bocca della Democrazia Cristiana disse di no, in quanto il Parlamento in seduta comune è un collegio perfetto, in cui si vota ma non si discute. Di lì è nata una prassi che ostacola la presentazione di candidature ufficiali e che non aiuta la trasparenza”. Ainis ha poi aggiunto che se Draghi da Presidente del Consiglio in carica fosse eletto Presidente della Repubblica sarebbe un “inedito costituzionale: dovrebbe dimettersi nelle mani non di se stesso, ma dell’attuale Presidente e cioè di Mattarella, il quale per prassi dovrebbe congelare le dimissioni fino a quando non nasce un nuovo governo… ma se le congela Draghi non potrà diventare Presidente della Repubblica essendo ancora Presidente del Consiglio”. Insomma, un bel ginepraio. La prima convocazione dei 1009 grandi elettori è stata fissata per lunedì 24 gennaio alle ore 15.00. Sul voto incomberà anche l’incognita Covid che imporrà regole per evitare assembramenti e per decidere cosa fare nel caso in cui alcuni elettori risultino positivi ai test. Per l’elezione sarà necessaria una maggioranza di due terzi e, dal quarto scrutinio, sarà sufficiente quella assoluta, dunque 505 voti. Se è vero che mancano candidature ufficiali, è altrettanto vero che abbondano i nomi dei papabili sui quali si sta concentrando l’attenzione e il chiacchiericcio dei media. La lista è lunga e riguarda personalità di diversa provenienza politica e profilo professionale. Tra gli uomini citiamo Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Giuliano Amato, Silvio Berlusconi, Paolo Gentiloni, David Sassoli, Romano Prodi, Dario Franceschini. Tra le donne, Elisabetta Alberti Casellati, Marta Cartabia, Emma Bonino, Rosy Bindi, Liliana Segre.

Tralasciamo commenti e considerazioni su ciascuno dei suddetti nominativi

Quello che invece vogliamo evidenziare, al di là degli aspetti formali inediti insiti nell’eventuale passaggio di Draghi dalla carica di Premier a quella di Capo dello Stato, sono le conseguenze che tale passaggio avrebbe in termini politici e istituzionali. In meno di un anno dalla sua elezione, Draghi è riuscito a mettere d’accordo quasi tutti. Il suo governo di unità nazionale (soltanto il partito Fratelli d’Italia è all’opposizione) è nato come estremo tentativo di Mattarella di evitare le elezioni anticipate in un momento di grande difficoltà sanitaria, sociale ed economica determinata dalla pandemia. Prima di conferire l’incarico a Draghi, Mattarella rivolse un appello a tutte le forze politiche affinché superassero le divisioni e dessero la fiducia a un governo “di alto profilo” che non dovesse “identificarsi con alcuna formula politica”. Nonostante finora Draghi abbia attuato un’incisiva azione di governo, la fase critica che undici mesi fa lo aveva portato a Palazzo Chigi è ancora ben lungi dall’essere stata superata. Esattamente come undici mesi fa anche oggi andare a elezioni anticipate comporterebbe rischi che il paese non può permettersi di correre.

Riuscirà Draghi, dal Colle, ad ottenere che i partiti si accordino sulla formazione di un governo di unità nazionale senza di lui come Presidente del Consiglio?

Soltanto Sergio Mattarella, non più capo dello Stato, potrebbe riuscire nell’impresa accettando di diventare Premier. È questo l’intricatissimo ginepraio di scenari che la politica italiana dovrà districare tra circa due settimane. I rischi sono tanti e tali da rendere auspicabile un accordo trasversale tra tutti i partiti sulla necessità di inviare a Sergio Mattarella la richiesta (ma sarebbe un vero e proprio appello) di accettare un secondo mandato fino alla scadenza della legislatura. Tanto meglio se tale richiesta verrà fatta prima dell’inizio degli scrutini e non in extremis. In ciò l’Italia potrebbe seguire l’esempio rappresentato dalla Germania, dove i principali partiti già si sono accordati per conferire a Frank-Walter Steinmeier il secondo mandato.

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