Ottobre 1917, fronte del Friuli. Da qualche settimana si è conclusa la vendemmia, vendemmia della Rabosa nera, uva di un antico vitigno autoctono, il più diffuso al tempo sia in Friuli che nel Veneto della sinistra Piave. E quello è davvero un anno buono. A seconda dei diversi tempi di maturazione, l’uva già fermenta sui tini o è pronto il “vino nuovo” sulle botti.

“Le cantine sono ripiene di vino schietto, colorito, come il buon sangue trevigiano. I soldati ne escono con gli elmetti ricolmi”, raccontano le cronache del tempo. I soldati sono Italiani, in rotta dopo Caporetto (24 ottobre), che lo apprezzano sicuramente e ne approfittano lungo il corso della ritirata. Ma ancor di più lo apprezzano le truppe austro-tedesche, inebriate da quella disponibilità e dall’entusiasmo della vittoria.

“Il maiale viene ammazzato nel cortile. Soldati in cantina asportano i migliori vini in bottiglia e damigiane di ogni sorta”, racconta nel suo diario Eugenio Dalla Barba di Conegliano. “A Conegliano e frazioni portano via tutto ciò che vi è di buono… mobili, bottiglie, botti, vino, vermouth”. Come a Collalbrigo. Lo racconta il parroco don Antonio Da Ros: “Tutte le cantine sono piene del vino prelibato dei colli. Sfondano le porte e… soldati ubriachi… alla sera vere e proprie orge. Una notte i comandanti germanici all’una e un quarto ballavano ancora in canonica fradici di vino”. E si potrebbero citare tante altre testimonianze.

Col vino innaffiavano carni di pollo, di maiale, di vitellino… finalmente abbondanti. Lo riconoscono alcuni prigionieri della Honved catturati il 10 dicembre, che ammettono di essersi tutti ubriacati in quei giorni. Nasce nella gente la convinzione, riportata nel suo diario dal Parroco di San Vendemmiano, “che, mentre gli Italiani cercavano in qualche modo di riorganizzarsi, gli austriaci, entusiasmati per l’abbondanza di vino trovato nelle campagne, si dimenticavano di avanzare”.

Certo che sulla relativa lentezza dell’avanzata austro-tedesca verso il Piave (15 giorni per fare 80-100 km da Udine!) influirono anche altri fattori, come la necessità di mantenere i collegamenti con la rete di rifornimenti, l’opportunità di attendere ponteggi efficienti per superare i fiumi, la resistenza italiana per quanto debole sul Tagliamento, ma furono senz’altro importanti la fame ed il vino, il glorioso Raboso, nel rallentare la marcia degli invasori e consentire agli Italiani di far saltare i ponti e di attestarsi sul Piave.

Se ci fosse bisogno di ulteriori prove, basterebbe citare quelle “Istruzioni per l’offensiva” che i Comandi austriaci fecero diramare in preparazione della Battaglia del Montello (giugno ‘18). Al punto 22 raccomandavano ai propri soldati, nell’eventuale avanzata, di “rimpinzarsi sì, ma non ubriacarsi… come è capitato nell’autunno del ‘17”. I paesaggi naturali sono sempre in netto contrasto con le azioni di guerra, così pure i ritmi della natura e del lavoro dei campi. Dopo questa lettura viene spontaneo pensare: Se non ci fosse stato il Raboso!!!

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