“Il nostro mare non è un confine, ma è prospettiva, orizzonte. Più che come limes, il nostro mare dovrebbe essere pensato come limen”.

E questo limen costituisce la nostra identità. Io e la mia gente, cari amici, siamo Europei del Mediterraneo, mentre voi che ci guardate dall’altra parte del mare siete i Mediorientali del Mediterraneo e gli Africani del Mediterraneo. Ed è per questo che chiamiamo il Mediterraneo mare nostrum. Appartiene a tutti, e tutti ne facciamo parte. Perché nel corso del tempo è stato proprio il mare nostrum ad insegnarci la cultura del noi e non quella dell’io. Ha educato a guardare con i propri occhi e con quelli dell’altro: occhi plurali per scorgere differenti prospettive, considerandole tutte possibili e tutte utili, pur rimanendo sempre in stretta sintonia con l’unico luogo che tutti accomuna: il mare. In quanto limen, il Mediterraneo è finestra che ci consente di guardare oltre il limite e di conoscere ciò che è dall’altra parte.

Questo mare, nel corso dei secoli, ci ha insegnato ad affacciarci alla finestra per vedere e ammirare ciò che è oltre la nostra casa. Ha sempre evitato di considerarsi fortezza invalicabile, muro che divide, cimitero che semina morte, tomba che tutto nasconde nella sua tenebrosa oscurità. Ha invitato a spingerci oltre, piuttosto che rintanarci nel nostro spazio vitale, a immaginare mondi più in là dei nostri limiti, a intraprendere viaggi, a compiere traversate senza dimenticare il punto di partenza. La Chiesa che è per definizione “missionaria” è dunque aperta ai vecchi e nuovi orizzonti dell’evangelizzazione. Il “guai a me se non evangelizzo” di marchio paolino, esprime l’anelito esistenziale della Chiesa, mai del tutto appagato. In tale prospettiva va letto, accolto e fruito ciò che viene proposto per i nostri villeggianti e quindi per quella che è la più ampia Comunità turistica, istituzionale e dei vari soggetti attivi nel turismo. Al differenziato “divenire” di questo fenomeno socio-culturale, la Chiesa guarda con simpatia e fiducia per il naturale “gradiente” di umanità che comporta e che viene soddisfatto nelle diverse modalità del “fare” turismo.

L’intenzione della Chiesa si riferisce al turismo come opportunità, sia di spazio che di tempo, favorevole all’annuncio del “Vangelo della gioia”. Si tratta di un’immersione nel flusso e nei flussi del turismo, senza esserne travolta, senza sorbirne taluni stili alienanti la dignità delle persone. È una “presenza” competente che viene qui declinata con l’ausilio di “verbi” rivelatori di “azioni” propriamente pastorali, significative di una Chiesa che si dona, che si protende come “samaritana” verso un’umanità in ricerca di senso, delineando una proposta di vicinanza, di fraterno scambio di doni, di accoglienza rispetto a culture plurali, sia sotto il profilo religioso, sia storico-sociale che economico e commerciale, praticamente di un “turismo del benessere”. Il turismo del benessere, inteso come turismo dello “star bene”, che coinvolge l’essere umano sotto il profilo dell’equilibrio fisico e psicologico e soprattutto spirituale. Per la Chiesa il turismo è una sfida e insieme un banco di prova della sua apertura alle “genti”. Anzitutto “Accogliere”. Si è invitati a sciogliere i vincoli dell’indifferenza, dell’apatia e dell’individualismo, per immettersi in circuiti relazionali e gestuali, ricchi di significati simbolici, spirituali, comunicativi. Queste accadono in precisi luoghi ecclesiali, con strumenti adeguati e suggestioni di esperienze culturali. Il turismo è visto come esperienza dell’accogliere il “forestiero”, nel cui volto la Chiesa “vede” l’immagine di Cristo.

In secondo luogo “Condividere”. Il turismo porta a riconoscersi nelle uguaglianze e nelle diversità, in uno spirito di scambio e di integrazione. Si tratta di condividere una ricchezza umana, sociale e culturale che favorisce la crescita di conoscenza, di confronto civile, di collaborazione tra persone residenti ed ospiti, tra istituzioni ricettive e commerciali. Il turismo abbassa le barriere e edifica ponti. La Chiesa ci sta! In terzo luogo “Annunciare”. È lo scopo proprio della Chiesa. Consiste nel “dire” il vangelo della salvezza. Molteplici sono le forme, i modi, i tempi e i luoghi. Nel turismo si intrecciano situazioni esistenziali le più disparate, che svelano domande e nascondono una ricerca di senso mai sopita. Qui la Parola proclamata assume un valore salvifico, valorizzando tutto l’uomo nella sua concretezza storica.

Con una speciale attenzione all’incontro ecumenico e interreligioso. In quarto luogo “Celebrare”. Nel turismo si fa evidente il volto della “Comunità eucaristica”, nella bellezza celebrativa del Mistero, nella gioia espressiva dell’accoglienza, nella forza solidale della carità. Così la comunità ecclesiale diventa segno di comunione e di unità, sia pure nella diversità della provenienza, delle personali condizioni di vita. La comunità di accoglienza celebra la vita, dono incommensurabile di Dio, celebra il mistero del Redentore dell’uomo, rende sensibile la carità di Dio nello scambio fraterno. Il tempo del turismo rappresenta una splendida occasione per ritrovarsi in una preghiera comune, in un incontro solidale, in una rinnovata speranza.

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