Nella foto: Panorama sui laghi gemelli di Monticchio Foto di ©Daniele Messina, CdI

Mete di viaggio

Non è un romanzo “alla Umberto Eco”: ma sarebbe ingiusto concentrare il nostro interesse solo su questo dettaglio pittoresco nella lunga storia dell’Abbazia di San Michele Arcangelo sul Monte Vulture, dato che essa venne fondata intorno all’ottavo secolo dai monaci basiliani che si erano rifugiati in Puglia e in Basilicata per sottrarsi alle persecuzioni iconoclaste scatenate a Costantinopoli.

Il luogo per nascondersi era propizio: sotto la cima del Monte Vulture, al confine tra l’Irpinia e la Lucania. Si tratta di un vulcano spento di dimensioni paragonabili al Vesuvio, alto 1326 m ed interamente ricoperto d’una fittissima foresta di roveri, faggi, castagni, querce, cerri, lecci, faggi, abeti, noccioli, noci, che è considerata una delle più belle e meglio conservate del nostro paese. Sotto la cima del massiccio si apre una vasta caldera che ospita due laghi craterici, i famosi laghi gemelli di Monticchio. Monticulum si chiamava anticamente questa località remota in cui si rifugiarono i monaci basiliani, dapprima stanziandosi come anacoreti nelle numerose cavità rocciose della zona, alcune delle quali assomigliavano molto alla grotta sacra di San Michele sul Gargano, che sembra essere stata presa da loro a modello. È probabile che il grande scisma d’oriente del 1054 abbia inferto loro un grave colpo. I Normanni scacciarono definitivamente i monaci bizantini e misero al loro posto i benedettini, che costruirono l’edificio dietro la grotta ed il monastero di Sant’Ippolito nell’Istmo fra i due laghi. La nuova chiesa di San Michele venne consacrata di persona dal papa Niccolò II che in quel periodo risiedeva a Melfi per condurvi le trattative di pace con Roberto il Guiscardo. Nel secolo successivo il Monte Vulture ospitò anche un altro movimento mistico, gli Umiliati di Montevergine, originari di Avellino, ma al seguito di San Guglielmo da Vercelli. Nel tredicesimo secolo il luogo, ricco di animali selvatici, pare che venisse frequentato anche dall’imperatore svevo Federico II quando risiedeva nel vicino castello di Melfi, essendo egli notoriamente un appassionato cacciatore. Ma le “Costituzioni Melfitane”, da lui dettate in quel castello, diedero un colpo al potere ecclesiastico. Dopo la caduta degli Svevi e la presa del potere da parte degli Angioini a Napoli, i benedettini del Vulture riottennero molti dei privilegi che gli erano stati tolti dagli svevi, e l’abbazia tornò a rifiorire, malgrado le ruberie da parte dei nuovi signori feudali immigrati con gli angioini. Ma dopo la rivolta dei vespri gli aragonesi misero piede in Italia e tutto il meidione ne risentì. Le guerre tra gli angioini e i durazzeschi devastarono la zona del Vulture e l’abbazia si ridusse in misere condizioni. Il colpo di grazia le venne dal terribile terremoto del 1456 che seppellì sotto le macerie cinquanta monaci,l’abate, e tutta la storia dei benedettini del Vulture.

La rinascita le venne dal famoso papa Piccolomini, Pio II, che pensò di affidare il titolo ai cardinali romani, per cui si succedettero diversi Carafa, Altemps, fino a Federico Borromeo, il famoso cardinale dei “Promessi sposi”. Ma i monaci agostiniani che l’avevano in consegna non si mostrarono all’altezza, il monastero decadde trasformandosi in ultima spiaggia per i clerici in punizione. Finalmente il cardinale Borromeo li sostituì con i cappuccini, i quali ricostruirono l’edificio attuale che domina il lago piccolo e vi aggiunsero una biblioteca ed un lanificio. Infine nel 1782 sopravvenne l’Ordine Militare Costantiniano che la tenne fino all’anno fatidico 1866, in cui essi furono espropriati e scacciati dal governo italiano, e tutto l’edificio venne chiuso. Erano quelli gli “anni di piombo” del brigantaggio meridionale, le foreste del Vulture erano ricovero delle bande più feroci e temute, come quella di Carmine Crocco, detto “il generale dei banditi”, e del suo leggendario luogotenente Ninco Nanco, oltre che del Caporal Teodoro e di Giovanni “Coppa” Fortunato, e di Giuseppe Caruso. Queste terribili bande trovavano rifugio in quelle stesse grotte dove mille anni prima vivevano i monaci basiliani, tutto intorno al convento attuale, i cui monaci erano costretti per forza di cose a venire a patti con loro. Come potevano sopravvivere, altrimenti? Questo bastò perché le autorità del vittorioso Regno d’Italia li accusassero di connivenza e complicità, quasi vedendo in loro i corresponsabili delle brutali gesta di Ninco Nanco. Crocco, catturato a tradimento dalle forze dell’ordine, fu processato e condannato a morte perché riconosciuto colpevole di ben 67 omicidi, 7 tentati omicidi, 12 rapine a mano armata, 20 estorsioni, 15 incendi di case ed altri reati minori.

Oggi la Basilicata è uno dei luoghi più tranquilli d’Italia per quel che riguarda la criminalità, e Monticchio è una località di richiamo per il turismo, soprattutto quello locale proveniente dalle province di Potenza e di Avellino. Il Monastero, è aperto al pubblico e dalle sue finestre si può ammirare una magnifica vista sui laghi gemelli. Particolarmente originale è la chiesa, consistente in una vasta sala spoglia, avente come abside la grotta dell’angelo, con la sua misteriosa oscurità, e dal lato opposto, il nartece inondato di luce proveniente dalle sue finestre panoramiche. È uno dei tesori nascosti del Mezzogiorno.

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